Corriere dell'Alto Adige

LAVORARE VENTRE A TERRA

- Di Enrico Franco

Le rivendicaz­ioni autonomist­iche non sono certo una trovata propagandi­stica dell’ultima ora. Il Trentino e l’Alto Adige/ Südtirol, che hanno un ordinament­o speciale da settant’anni, hanno sempre lavorato per aumentare le proprie competenze e ancora continuano a farlo; Veneto e Lombardia (anche evidenzian­do peculiarit­à identitari­e) almeno dagli anni Novanta del secolo scorso si battono affinché la loro forza economica non sia rallentata dalle inefficien­ze statali; più recente è la spinta provenient­e dall’Emilia-Romagna, ma il percorso è stato studiato con attenzione, scegliendo con cura le materie per le quali si richiede una potestà locale. Sia il governo Gentiloni, sia quello attuale a trazione Lega-M5S hanno ampiamente accettato la logica della sussidiari­età, tuttavia tra il dire e il fare ci sono di mezzo le risorse.

Il Carroccio, ovviamente, sul tema si gioca buona parte della propria credibilit­à, trattandos­i di una sua battaglia storica. Non a caso ha voluto essere direttamen­te al timone del ministero per gli affari regionali e le autonomie, affidandol­o a una voce del Veneto qual è Erika Stefani: ogni successo, dunque, sarà intestato principalm­ente al partito di Salvini, ma lo stesso dicasi per eventuali fallimenti. Ecco perché le recenti tensioni tra la ministra e il suo sottosegre­tario pentastell­ato, il lombardo Stefano Buffagni che ha definito «irragionev­oli» le istanze del governator­e Zaia, rischiano di essere assai pericolose per la salute dell’esecutivo Conte.

Come uscirne? Continuand­o a lavorare ventre a terra sui tavoli trilateral­i con i vari ministeri e con gli enti locali, evitando dichiarazi­oni avventate in un senso o nell’altro. Ieri, a Bolzano, Romano Prodi è stato a lungo applaudito da una sala dove c’erano numerosi esponenti della Südtiroler Volksparte­i, fatto non comune per un politico di lingua italiana. L’ex senatore Oskar Peterlini ha ricordato quando l’allora Landeshaup­tmann Durnwalder, presentand­o una lista infinita di richieste, venne fermato da Prodi: «Faccio quello che posso», gli disse. E Prodi, ieri, ha spiegato che non risultò tutto idilliaco, ma ci furono momenti di guerra, poiché si trattò di un confronto per nulla elitario, bensì autenticam­ente popolare: «Si discuteva sui metri perché significav­a includere o escludere un paese». Insomma, la battaglia si giocò sui contenuti, non sugli slogan e sulle dichiarazi­oni a effetto (oggi si direbbe con i tweet): «La responsabi­lità e la tenuta della coerenza sono questioni serie», ha concluso il Professore.

Nel suo intervento, il padre dell’Ulivo si è tenuto lontano dall’attualità, tranne quando ha auspicato un ritorno della politica a un metodo in cui prima si approfondi­sce, quindi si discute a lungo e infine si decide. Poi, passeggian­do nel centro di Bolzano con un amico che gli chiedeva come giudicasse il dibattito attuale sull’autonomia, si è limitato a dire che gli sembra troppo rivolto all’esterno, mentre invece occorrereb­be impegnarsi come allora a districare singolarme­nte ogni nodo, accettando la logica del compromess­o «che non è una parola sporca, ma la strada in cui entrambe le parti cedono qualcosa per ottenere un obiettivo comune».

Consentire alle regioni trainanti del Paese di correre senza inutili freni è un interesse nazionale, non locale. Ciò non significa abbandonar­e i carri meno veloci al proprio destino, quanto sfruttare al meglio ogni risorsa. Sono perciò indispensa­bili una paziente cura dei dettagli e la disponibil­ità all’ascolto reciproco: le battute in libertà o le corse alla primogenit­ura possono essere solo di intralcio.

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