Porcellio scaber, crostaceo che «ama« tutte le piante
«Ogni notte il mio orto è invaso da un esercito di grigi, silenziosi piccoli crostacei, che, dopo essersi riempiti la pancia, spariscono al primo raggio di sole». Così si lamenta un ortolano. Qualche volta — se non trovano altro — questi animaletti poco appariscenti che tutti conoscono, perché li ritroviamo ovunque, sotto legni, vasi o pietre, rosicchiano le piantine appena messe a dimora. Succede però raramente. Preferiscono cibarsi di materia semidecomposta. Il loro nome latino è Porcellio scaber, da noi: porcellini di S. Antonio. Sono animali preistorici, usciti dall‘acqua, lasciandovi parenti come astici, granchi e languste, molto più grossi di loro. Respirano con pseudo trachee e un accenno di branchie, un apparato respiratorio poco adatto alla terraferma. È per questo che prediligono luoghi umidi, nascosti al sole. Allevano la prole come i canguri, il loro marsupio è un mini-acquario contenente liquido amniotico. Nella famiglia si ritrovano individui specializzati a vivere sia nelle cantine, sia negli anfratti umidi dei vecchi muri o nelle parti ombrose degli orti. Alcuni di loro hanno imparato ad arrotolarsi fulmineamente in caso di pericolo, lasciando sporgere però vibranti antennine e occhi curiosi.
Chi ha studiato la vita di questi minuscoli crostacei, sostiene quello che molti giardinieri sanno per esperienza: potendo scegliere, preferiscono cibarsi di materiale in decomposizione piuttosto che di piantine d’insalata. Sono animaletti con attività prevalentemente notturne: divorano detriti vegetali trasformandoli in materiale organico, cioè compost. Se le aiuole sono pacciamate con due dita di fieno, con lo sfalcio del prato lasciato seccare, con i resti sminuzzati delle verdure — gli ortolani sanno che mai, ripeto, mai, si lascia la terra nuda esposta a sole o intemperie, tant’è che madre natura immediatamente si attiva, ricoprendola con quelle che noi chiamiamo erbacce — i porcellini non faranno danni alle piantine neonate. A proposito di compost: sulle folte ortiche che crescono attorno al mio, è improvvisamente comparsa una stranissima pianta, una Cuscuta europea; in tedesco la chiamano Teufelszwirn, filo del diavolo. Già questo suo nome fa intendere com’è considerata dal volgo. È un parassita vegetale, non ha radici, non produce clorofilla, si nutre della linfa della pianta ospitante causandone la morte. Si propaga attraverso minuscoli semi che per germogliare hanno bisogno di molta umidità. Copre con matasse ingarbugliate di fili rosati e giallini interi campi, riproducendosi vertiginosamente.