LA DERIVA DELL’ODIO
L’attentato alla sede della Lega, ad Ala, è la dimostrazione palese di come il confronto politico abbia ormai raggiunto livelli sempre più preoccupanti. La forza dell’idee, il sale della democrazia, sostituita dal gesto vigliacco di un ordigno fatto esplodere nella notte; la contrarietà a una conduzione politica, in questo caso quella di Matteo Salvini, esplicitata usando la violenza. La scorciatoia più facile, perché il ribattere a un pensiero che non si condivide mettendone in campo uno possibilmente migliore, costa fatica e presuppone una buona dose d’intelligenza. Ma questa non si acquista al supermercato. Almeno per il momento.
Si disquisisce se a esplodere in quel di Ala sia stato un grosso petardo o una bomba carta, questione di lana caprina: la condanna deve essere totale, senza se e senza ma. Ciò che stupisce e non può lasciare indifferenti è come simili fatti avvengano in una terra, il Trentino Alto Adige, dove la convivenza ha raggiunto importanti traguardi, lasciandosi alle spalle sangue, dolore, rabbia. A Trento e Bolzano, non più tardi di qualche mese fa, le cronache hanno dovuto registrare pure attentati alle strutture individuate ad ospitare i profughi.
Salvini da una parte e migranti dall’altra, sono le facce della stessa medaglia; vittime uguali dell’ignoranza, delle paure esacerbate. Salvini e migranti colpiti da chi nega libertà e accoglienza.
Oggi il verbo in voga è odiare. Il calcio, che è lo specchio della società, ne ha fatto quasi un motivo di vanto; non tutto il mondo del pallone va detto è becero e lo si è potuto constatare in questi giorni nell’ambito del Festival dello sport di Trento dove sono sfilati prima di tutto grandi uomini e poi grandi campioni. In molte curve però si inneggia ancora ai morti dell’Heysel o di Superga, ci si aggrappa ai vulcani per una pulizia etnica, si ridicolizza la storia di Anna Frank. Tutto finisce nel calderone del disprezzo verso l’altro. In un simile scenario, banale affermare semplicisticamente che il mondo è cambiato e quindi non esiste più — semmai sia esistito — un Trentino (e un Alto Adige) popolato da famiglie stile «mulino bianco». Vero, il vento del cambiamento soffia, e come se soffia, anche nella culla della Mitteleuropa. La contesa, anche aspra, va tenuta all’interno dei limiti di un sano ed efficace contradditorio. Vince chi riesce a mettere in campo un progetto che ha un orizzonte, coloro che urlano sono destinati magari a raccogliere consenso nell’immediato ma poi a sciogliersi come neve al sole. A una settimana dal voto vanno pertanto abbassati i toni. Si avverte la necessità di mantenere la barra dritta, senza pericolose derive. La democrazia, dunque, è in pericolo? A tale interrogativo il professor Giovanni Sartori rispondeva: «A lunga scadenza, sì». La democrazia, diceva, è una «grande generosità» perché per la gestione e la creazione della buona città si affida ai suoi cittadini. Ma questi cittadini lo sono poco, visto che sono spesso privi d’interesse. Insomma la macchina funziona, aspettiamo dei buoni guidatori. La diversità rimane una ricchezza da tutelare e nemmeno una bomba carta potrà scalfirla, nonostante il preoccupante analfabetismo politico e culturale.