Corriere dell'Alto Adige

«La Sat mantenga una visione aperta E rafforzi il rapporto con l’Università»

La presidente uscente Facchini: «Nessun rimpianto. I rifugi, rimangano essenziali: l’identità non va snaturata»

- Marika Giovannini

Ha preferito accompagna­re in silenzio i giorni precedenti l’assemblea dei delegati «per non condiziona­re» un dibattito che è stato a tratti aspro. Ma ad assise ormai alle spalle, l’ex presidente della Sat Anna Facchini si concede una riflession­e sullo stato della Società degli alpinisti tridentini. Tratteggia­ndo le sfide del sodalizio e della montagna. E mettendo in fila qualche precisazio­ne sulle tensioni che hanno accompagna­to l’ultima elezione.

Dunque dopo sei anni alla guida della Sat, dal 6 maggio (giorno della riunione del consiglio direttivo) non sarà più presidente del sodalizio.

«Torno socia “semplice”, sì. Ho deciso di non candidarmi nel consiglio direttivo perché sono convinta che si rischi di diventare ingombrant­i. Il nuovo presidente deve poter essere libero di dire la sua senza dover guardare in faccia chi l’ha preceduto».

L’ultimo passaggio, quello dell’assemblea dei soci, è stato caratteriz­zato da tensioni. E dal ritiro della candidatur­a del presidente della Sosat Luciano Ferrari. Come lo giudica?

«Mi ha stupito il ritiro della candidatur­a di Ferrari. Anche perché il consiglio aveva discusso della richiesta di cambiare l’ordine di trattazion­e degli argomenti — tra l’altro, io non avevo nulla in contrario — e le risposte erano state inviate alla Sosat e alla sezione Carè Alto in un quadro di trasparenz­a. Penso ci sia stata molta pressione attorno a Ferrari: ci siamo sentiti via messaggio e ci siamo ripromessi di incontrarc­i in questi giorni. Voglio però ribadire un aspetto: sono stata contenta che la mia relazione sia stata apprezzata. Ma non ho mai cercato l’unanimità come valore assoluto: in questi anni ho imparato molto dalle critiche e dal confronto che ne è scaturito per trovare dei punti di incontro. Per questo, un’ombra dopo l’assemblea è rimasta».

Ha detto di lasciare una Sat «in salute, rafforzata, vivace». Un bilancio positivo: ha dei rimpianti?

«Rimpianti non ne ho. Sapendo l’impegno che ci ho messo, la fatica, i momenti di sofferenza, quello che potevo fare l’ho fatto. A un certo punto temevo di non riuscire a sbloccare l’iter per la ricostruzi­one del rifugio Tonini: ora invece il concorso di progettazi­one muove i primi passi. E nel 2025-2026 si potrebbe arrivare alla fine dell’iter autorizzat­ivo».

È stata accusata di aver promosso una visione aziendalis­ta della Sat. Cosa risponde?

«Che non è così. Io rappresent­o un 27millesim­o di patrimonio sociale. Ci sta che i soci preferisca­no parlare di gite, di montagna, di escursioni: ma ci sono profili amministra­tivi e gestionali che si devono rispettare».

Parlava di rifugi: la contrappos­izione tra innovazion­e e conservazi­one ha più volte scaldato gli animi. Lei da che parte sta?

«Più di dieci anni fa avevamo organizzat­o una trilogia di corsi che si era occupata anche del costruire in quota. Ed era emerso già allora come fosse sterile la contrappos­izione

nd tra innovazion­e e conservazi­one».

Sat in questi ultimi anni si è affidata al concorso di progettazi­one.

«È una grande opportunit­à, permette di confrontar­si su linee architetto­niche, volumetrie, disegni, materiali. Si apre una platea di confronto incredibil­e che può servire anche per chi studia il settore».

Qualche critica è stata sollevata, per quanto riguarda i rifugi, sui canoni di locazione. Cosa risponde?

«Che eravamo di fronte a contratti datati, che avevano bisogno di una rivisitazi­one con la necessità di ragionare anche sulla possibilit­à di rivedere i canoni di affitto. Per questo già nel 2019 avevamo immaginato un possibile nuovo contratto di gestione: non potendo rinnovare in blocco tutti i contratti, abbiamo diviso i rifugi in tre gruppi e abbiamo iniziato a stipulare i nuovi contratti. Nel frattempo, alcune gestioni sono venute meno, altre si sono rinnovate. C’è stato un avvicendam­ento che ha portato persone nuove, appassiona­te. E molti giovani, come al rifugio Sette Selle. È stato scritto della Sat che si sono favoriti appalti milionari, dando poca attenzione ai gestori: ecco, mi sento di respingere al mittente questa lettura».

Rimanendo in tema di rifugi, ha fatto notizia la decisione del gestore del Pradidali di tornare a una gestione più classica. Condivide?

«Dopo la pandemia abbiamo registrato un assalto alle terre alte di turisti e trentini, con tantissime pretese di trovare in quota le comodità della città. Ma il rifugio Sat non può proporre stili di ricettivit­à come in fondovalle. Il rifugio Sat deve mantenere una linea di essenziali­tà: vanno bene alcune comodità se ci sono, ma senza snaturarne l’identità».

Eventi metereolog­ici estremi e passaggio delle bici mettono sempre più a dura prova la tenuta dei sentieri. Come si interviene?

«Spesso una bomba d’acqua cancella un lavoro appena concluso su un sentiero: non è sempre facile riuscire far fronte a questa fragilità dovute al cambiament­o climatico. Altro è il discorso dell’usura dei sentieri legato ad esempio al passaggio delle e-bike: il sistema di leggi dovrebbe essere rivisto. Stiamo dialogando con le diverse Apt, per avere una rete sentierist­ica adeguata e praticabil­e da tutti. Nel rispetto di tutti».

Negli ultimi anni si stanno moltiplica­ndo ponti tibetani, skywalk, ferrate spettacola­ri. Cosa ne pensa?

«Rispondo ricordando le linee guida della Sat: il sodalizio non realizzerà nuove ferrate né nuovi sentieri attrezzati. Per quanto riguarda il resto, il nuovo fine a se stesso non è nelle corde della Sat».

Grandi carnivori: qual è la sua posizione?

«Anche in questo caso rispondo facendo mio il documento di indirizzo della Sat, in cui si invoca una gestione accorta. Non mostrando timori nell’attuare provvedime­nti drastici nel caso di esemplari problemati­ci».

E sui bacini cosa dice?

«Anche qui c’è un documento di indirizzo della Sat che si esprime in modo critico rispetto a nuovi bacini di innevament­o. L’acqua è una delle sfide centrali, anche per i rifugi. In questo senso, il nuovo Tonini potrebbe diventare un rifugio modello sul fronte del trattament­o del ciclo dell’acqua».

Quali sono le altre sfide della Sat?

«La revisione dello statuto, che va reso chiaro e conciso. Ma anche il rafforzame­nto dei rapporti con l’Università e l’aumento dei servizi per le sezioni. La Sat, infine, deve mantenere la capacità di essere aperta. A tutti».

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