Corriere dello Sport (Campania)
Da Carletto a Luis, dirsi addio e poi vincere
Vincere e dirsi addio, sono buoni tutti. Dirsi addio e vincere, quello è il rito di passaggio. Rudi Garcia è lì sulla soglia che altri hanno superato. Uscendo illuminati dalla parte opposta. Bela Guttman vale relativamente. Fece tutto da solo, per attraversare quella soglia forzò la porta e la sbatté pure. Voleva più soldi, non glieli concessero e lui promise che se ne sarebbe andato dal Benfica. Era nel bel mezzo della Coppa dei Campioni del 1962, aveva vinto quella precedente, doveva disputare la semifinale contro il Tottenham e poi la finale contro il Real Madrid di Puskas e Di Stefano. Vinse, maledisse il Benfica che nelle cinque finali successive non cavò un ragno dal buco e per buona misura aggiunse che quattordici commendatori non poteva allenarli.
Quindi Guttmann si esonerò da solo, intriso di gloria, zuppo di onorificenze, assetato di denaro. Carlo Ancelotti al Real Madrid era stato esonerato dal presidente Florentino Perez. Addio lunghissimo, brindisi dopo brindisi, agguato dopo agguato. Ma lui vinceva e se non vinceva subito provvedeva in seguito. Ha dato al Real la decima Coppa dei Campioni. Non è bastato. Lascorsa primavera è stato eliminato dalla Juventus, ha dato ancora una volta strada in campionato e lo hanno mandato via. Per prendere Benitez, valli a capire. Jupp Heynckes, stanco, non più giovane, non ebbe nulla da ridire quando il Bayern Monaco nel 2013 comunicò che la stagione successiva il tecnico sarebbe stato Pep Guardiola. Ma poi che importa, torniamo al lavoro, ha pensato, e ha raccolto campionato, coppa tedesca e Champions League.
Il punto è che si può vincere anche quando sai che non durerà e talvolta si può sorprendere il destino. Arrigo Sacchi nel 1987 era stato cacciato da tutti, dai tifosi del Milan, dai giocatori, dai dirigenti, con la piccola eccezione di Silvio Berlusconi. Che all’epoca resistette anche ai suoi malumori e da Sacchi ebbe in cambiounoscudetto,dueCoppe dei Campioni e un’egemonia internazionale che tuttora porta frutto, prestigio, merchandising. A cacciare Luis Enrique poteva essere solo Leo Messi e quasi accadde. L’allenatore lo voleva a destra, lui andava dove lo portava il vento. Adesso eccolo lì il Barcellona del professore che non comprese Roma e non riuscì a farsi comprendere. Luis Enrique ha trovato pace, la Roma non ha trovato un allenatore fisso.
C’è chi ha successo anche quando tutto è ormai perduto Come Heynckes guru del Bayern
©RIPRODUZIONE RISERVATA