Corriere dello Sport (Nazionale)

«Gianni unico Che emozione questo trionfo»

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Gianni De Biasi, 59 anni, ha guidato Spal, Modena, Brescia, Toro, Levante e Udinese. Qui al forum con il vice Paolo Tramezzani Lazio. Quanto a Memushaj del Pescara, mi chiedo perché giochi in B. Ha tutto, qualità tecnica, fisicità, gioca con la testa». E con Manaj dell’Inter come è andata? L’ha fatta arrabbiare un po’... «Ma no, lì c’è stato un equivoco. Gli hanno riportato una cosa per un’altra. Io avevo solo detto che lui ha talmente voglia di far parte della nostra Nazionale che tempesta di messaggi Paolo (si volta a guardare Tramezzani, ndr) e un po’ anche me. Ma lo dicevo in senso positivo. Lui ha buttato lì una cosa, poi ha chiesto scusa, ci siamo visti. Ha personalit­à, ha buone doti. Deve crescere con gradualità». La svolta per l’Europeo è stata la partita in Portogallo? «E’ stata una grossa iniezione di fiducia. Poi la Danimarca in casa che per me è un’ottima squadra, con un talento come Eriksen. Considerat­e che i nostri tifosi li troviamo ovunque, hanno una passione paragonabi­le ai tifosi del Napoli. Erano in 500 anche in Islanda. Per me la partita più bella l’abbiamo fatta a Rennes con la Francia, loro al completo, abbiamo pareggiato. Lì ho capito che avevamo qualcosa da dire». Tra le piccole sorprese dell’Europeo quale l’ha stupita di più? «L’Islanda. L’Austria ha nomi troppo importanti». La finale di Francia 2016? «Il Belgio può essere la sorpresa, anche se guidano il ranking quindi tanto sorpresa magari non è. Poi se la giocano Germania, Italia e Spagna. La Francia potrebbe sentire troppa pressione: tipo il Brasile in Brasile...». Se la immagina Italia-Albania all’Europeo? E all’inno? «Sarebbe un’emozione. E sarebbe molto tosta. L’inno? Canterei quello italiano e farfuglier­ei quello albanese. Anche se qualche parola nella loro lingua la so». Ma questo miracolo Albania può diventare qualcosa che dura nel tempo? Ora ci sono le qualifiche mondiali... «Possiamo crescere e migliorare, il problema è capire se questo meccanismo che si è innescato può andare avanti perché il sistema calcio e il sistema Paese devono poter camminare sulla stessa lunghezza d’onda. Per le qualifiche mondiali basta che ricordi le avversarie: Spagna, Italia, ci siamo noi. Passa una e l’altra va ai play off. Vi basta?» Perché è andato via dall’Italia? «Ero stanco di prendermi carico di pesi che non erano miei. Volevo rifare quello che ho fatto a Ferrara, a Modena, a Torino il primo anno: allenare, progettare, scegliere calciatori. In Italia sei sempre messo in discussion­e, non si guarda il lavoro. Il guardiolis­mo ha fatto danni. Di Guardiola ce ne è uno, gli altri sono esperiment­i improvvisa­ti a basso costo. Io dopo Ferrara o Modena e i campionati vinti sono andato al Brescia. Se mi fosse successo oggi sarei andato... forse al Milan». Il compliment­o più bello che ha ricevuto? «Mi ha reso orgoglioso la laurea honoris causa in scienze sociali perché mi ha dato il senso dell’importanza di aver riunito un popolo diviso dalla diaspora, tutti sotto la stessa bandiera e tutti dietro alla nostra Nazionale». Paolo Tramezzani è il primo assistente di Gianni De Biasi nella Nazionale albanese. Si occupa di scouting a tempo pieno. Ci racconta la sua esperienza a cominciare dal fenomeno migratorio da andare a intercetta­re. «Tanti ragazzi sono usciti presto, tra Svizzera, Germania, Francia, Italia, Grecia. E magari giocavano già nelle nazionali giovanili di questi Paesi. Abbiamo visionato dal vivo 154 giocatori in quattro anni e ne abbiamo convocati 65. Sono tanti ma era necessario un lavoro così perché la conoscenza dettagliat­a dei ragazzi che veramente avrebbero potuto vestire questa maglia, non la avevamo». Tanti viaggi, una esperienza bellissima. «All’inizio le risposte erano più negative che positive. E’ vero che abbiamo perso diversi giocatori importanti, perché già prima che arrivassim­o noi avevano deciso di giocare con altre maglie. Ma chi ha indossato questa maglia ha dato tutto al 100 per cento». Quattro anni meraviglio­si. «Al primo posto metto la gioia di un popolo: tornare a Tirana e vedere bambini e anziani piangere mi ha fatto capire che per loro dietro un risultato sportivo c’era un riscatto. E un’emozione del genere io non l’avevo vissuta mai neanche da calciatore. E poi questi quattro anni mi hanno fatto scoprire piano piano una persona splendida come Gianni. A lui vogliono bene tutti. In 30 anni di calcio è quello che mi ha dato di più».

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