I bad boys che il calcio non aiuta
Kean, la nomea e una storia che si ripete Il sistema ricopre di soldi e aiuti tecnologici i suoi protagonisti ma non sa proteggere i talenti più fragili. E li scarica subito
Moise Kean. Ovvero, di come sia meno di un baleno passare dall’essere il Wonderboy del pallone a un caso conclamato. Sei il Predestinato, il primo millennial in vetrina, Juventus, Nazionale, il mondo ai tuoi piedi, ma erano solo piedi e i piedi non bastano. Pochi mesi, la vetrina va in pezzi e c’è già chi ha la smania d’infilarti nel catalogo delle “battaglie perse”. Scaricato dalla Juve per una vagonata di milioni, all’Everton non ce la fai ad esistere, se non come la faccia nei manifesti del “no al razzismo”. Storia già sentita, vero? L’ennesima bravata del ragazzo con la maglia dell’Under 21 in Irlanda, diciannove minuti dalla panchina al campo e il cartellino rosso che lo fa sparire dalla scena in cui era appena apparso. Magia nera? Peggio, coazione a ripetere. C’è una coazione a ripetere dell’autolesionismo? Sembra proprio di sì, ma il sistema calcio non lo sa. Distribuisce milioni a palate, mette a disposizione dei suoi bipedi generatori d’oro i supporti più sofisticati, tecnologie e attrezzature per i loro corpi, ma non ha soluzioni quando i problemi toccano la mente. Quello del pallone è un mondo arcaico che si nutre di conformismo, non accetta i diversi, li esclude. Irregolari, disadattati, fragili di testa. Non sa includere le anomalie, quelli che non ce la fanno da soli, se non quando il talento è così esorbitante da compensare il dissesto. O quando c’è il miracolo di una donna al loro fianco. È solo un caso se il calcio è l’unico contesto sportivo in cui l’omosessualità è ancora un tabù?
«Una battaglia persa». Due miti del calcio, José Mourinho e Steven Gerrard, usarono questa espressione per liquidare Mario Balotelli. Tanti altri, a cominciare da Mancini, Prandelli, Conte, lo stesso Brendan Rodgers al Liverpool, ci hanno provato ma hanno desistito o stanno pensando di farlo. Balotelli, Kean, aggiungo Totò Cassano e lo stesso ultimo Radja Nainggolan. Della serie: la maledizione delle origini. È sempre una questione di pelle. Nel primo caso è il colore, nel secondo, in quello del barese e del belga, italiano di adozione, un calore che si confonde con l’odore, il richiamo di una storia che ti si appiccica come un destino.
Il problema di Balo e di Kean non è quella di essere neri. Quella è decisamente la loro forza. La disgrazia è il sapere di esserlo. L’eccesso di consapevolezza li condanna a dover sempre dimostrare qualcosa. Insensatamente reattivi. Fanno un gol a porta vuota e si manifestano Rambo. Devi sapere, e probabilmente lo sanno, che i nemici si moltiplicheranno come pani e pesci alla festa di Gesù. Devi sapere, e probabilmente non lo sanno, che non è gonfiando il torace o dilatando l’occhio come fosse un’arma che il problema di “un mondo che non ci vuole più” sparisce. L’applicazione certosina di come farsi denigrare surclassa il talento calcistico e alimenta un gigantesco vittimismo che, a sua volta, fomenta frustrazione e rabbia. Si chiama circolo vizioso. Molto vizioso. È la storia di molti celebri neri dannati. Di come un atavico carisma possa combinarsi alla furia autodistruttiva. Calciatori, atleti, pugili, musicisti, rapper. L’ossessione del nemico da inventare anche quando non c’è. Soprattutto, quando non c’è. Da Mike Tyson a Tupac Shakur o Roscoe Pondexter, l’ex campione di basket che, da guardia carceraria, si trasforma in un aguzzino spaccaossa. Alla fine, è il personaggio che prevale sulla persona. Mario, forse, lo sta imparando ma i suoi anni migliori li ha buttati via. Moise fa ancora in tempo, ma i segnali fanno disperare.
A proposito di disadattati. Totò Cassano ha portato la sua faccia da Scarface e il suo fare spaccone in giro per il mondo. Lui non è nero, non si droga e non beve. Ma i suoi lazzi sono atti di ostilità, sfregi mascherati da burle. Corna, pernacchie, imitazioni. A Madrid ha portato anche una panza imbarazzante, sullo stile di certi tipi suoi familiari di Bari Vecchia. Lui è un ragazzo verace, generoso, dice quello che pensa, anche senza bisogno di pensarlo, drammaticamente convinto che la sincerità sia una virtù, anzi La Virtù per eccellenza. L’avere un talento enorme per il calcio non è mai diventata la sua vanità, quanto l’essere invece il personaggio tutto d’un pezzo che ha appreso di dover essere nei vicoli in cui è cresciuto.
Questo accomuna Cassano a Kean, a Balotelli e tanti altri (vogliamo metterci anche l’Adriano in gran parte visto sui nostri campi) oltre all’imperdonabile spreco di talento: l’inarrivabile godimento di deludere chi ha creduto in loro. Detto che melanina della pelle e quartieri malfamati non sono alibi che giustificano tutto perché di campioni dalla pelle che più nera non si può e fuoriclasse cresciuti tra topi e malandri nelle più drammatiche favelas (due nomi su tutti, Ronaldo e Romario) sono pieni gli archivi, resta l’evidenza di un mondo che non sa proteggere i suoi talenti più fragili. Che non sa comunicare con il disagio. Non sa parlare a chi ha bisogno di una parola, che non sia quella di un energumeno travestito da coach che sta lì solo a ipertrofizzare il tuo ego, che magari è pieno di buchi e di crepe e se ne fotte di vincere, che prima gli urge sopravvivere.
La depressione. L’altro tabù del calcio. Dello sport, nel suo insieme. Forse più dell’omosessualità. Il sistema, oggi, punisce inesorabilmente i dopati ma non si cura di cosa li ha spinti a farlo. Li esclude e basta. Fine dei giochi. Mele marce, questo è il senso. Lo sport dovrebbe includere, rigenerare, recuperare chi sbaglia e, invece, conosce solo la punizione. Qualcuno si ricorda di Marco Pantani?
Troppo facile elucubrare sul tema del genio e della sregolatezza quando si tratta di Diego Armando Maradona, ma chi si ricorda di Jonathan Bachini, di Francesco Flachi, di Angelo Pagotto, Fabio Macellari? Squalificato a vita per uso di cocaina, Jonathan lavora oggi a Livorno con uno stipendio da operaio. Non si lamenta e fa bene. Giusto assumersi le conseguenze delle proprie azioni, ma ha avuto mai qualcuno dalla sua parte, prima, durante e dopo? Quando era un giocatore da 35 miliardi, così quotato da Moggi nell’operazione di Buffon alla Juve. Uno che ha giocato con Zidane, Del Piero, Baggio, Pirlo, Guardiola.
Storie e mali oscuri. La più oscura di tutte. Edoardo Bortolotti esterno difensivo del Brescia. Il suo passaggio alla Roma è cosa fatta. La frattura del perone fa saltare l’affare e la sua vita intera. L’abisso. Nel ’91 risulta positivo al test della cocaina. Quattro anni dopo, a 25 anni, si suicida buttandosi dal balcone della sua camera da letto al terzo piano. Tante pagine, il giorno dopo, tutte per lui.
Balotelli, Cassano e anche Nainggolan la condanna di dover dimostrare qualcosa
Lo sport dovrebbe aiutare, recuperare E invece conosce solo la punizione