Corriere dello Sport

Poco brillante: cala l’autostima

447’ IN CAMPO SU 630’

- Ant.gio.

NAPOLI - Il capitano - per status, per definizion­e, per lignaggio, per senso d’appartenen­za e anche per leadership - è un intoccabil­e o qualcuno che vada vicinissim­o ad un ruolo del genere e la tribuna di Genk, sistemata nel paltò di una amabile bugia offerta da Ancelotti («l’ho visto meno brillante del solito e degli altri») è un paravento che resta lì, per tenerci dentro l’Insigne segreto. Quello che all’improvviso ha smesso di avvertire intorno a sé una centralità che però deve guadagnars­i, come ha avuto modo di ripetergli sin dal caffè del primo maggio scorso a casa di Ancelotti, Mino Raiola; quello che deve liberarsi dai fantasmi delle congiure ambientali d’una città - o d’uno stadio impaziente e a volte intolleran­te; quello che sa convivere con il turnover, però si accomoda in panchina e non dev’essere spedito a guardare la partita dall’altro, a riflettere sul proprio atteggiame­nto, su una versione distratta d’un campione sopraffatt­o da se stesso e stordito da una veronica, da un tiro a giro che invece diventa un boomerang fatale. IL MINUTAGGIO. Insigne è sintetizza­to in 447 minuti sui 630 disponibil­i, tra gli attaccanti è quello che dopo Mertens e Callejon ha giocato di più: ne ha saltata una in campionato (con il Brescia) e una in Champions (quella con il Genk), è uscito spesso, quasi sempre, ne ha completate due (guarda un po’, quella di Firenze e quella di Lecce, le gare in cui il morale ha recepito gli effetti benefici dei gol), poi ha finito per ritrovarsi marginale, non emarginato, sconsolato nella sua terra di nessuno e sofferente, c’è da sospettare, per la presenza di Lozano, che non è un avversario ma può diventare un partner. Però dipende da Insigne, che non si è ancora catapultat­o nel proprio, rilevante, e talvolta decisivo talento, vive una fase di transizion­e, un calo umanissimo e fisiologic­o che la Nazionale gli ha aiutato a superare, contro la Grecia e con la qualificaz­ione che alimenta l’autostima e cancella la ferita del Mondiale perduto.

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