LA MIA LAZIO SPALLE AL MURO
«È finita la stagione dei diritti questa è quella dei doveri: ho una Ferrari, voglio la Champions e la squadra renda per quanto guadagna. De Vrij non doveva giocare lo spareggio con l’Inter»
Claudio Lotito, presidente della Lazio, per oltre due ore nella redazione del nostro giornale: dal nuovo stadio alla qualificazione Champions ai rimpianti del passato, ecco le sue verità.
Presidente Lotito, quanto pensa di essere cambiato rispetto a 15 anni fa? «L’esperienza fa assumere dei comportamenti diversi, c’è anche una ragione. Quando sono entrato c’era un sistema con reali criticità. Nel mio primo intervento in Lega c’erano 42 presidenti, era l’epoca in cui aveva mollato Galliani. Presi parola e rimasero un po’ sconvolti, dissi che il problema non era chi facesse il presidente, ma che producessimo complessivamente 1 miliardo e 300 milioni di debiti. Proposi una ricetta: salaryc ape de fiscalizzazione. In più, per aumentare i ricavi, stadi polifunzionali e un gioco a vantaggio della Lega. Ex post, a 15 anni di distanza, i problemi sono rimasti gli stessi. Io li ho applicati e il salary cap mi ha consentito di risanare la Lazio, tecnicamente fallita».
L’appunto più grosso che le viene mosso, dal punto di vista dei risultati sportivi e non della gestione, è il mancato salto di qualità. E’ ottenibile con i suoi parametri?
«Io penso sia ottenibile. Dimenticate che la Lazio dopo la Juve è quella che ha vinto più di tutti. Il calcio è fatto di scudetti e di trofei. La Fiorentina non ha vinto niente e il Napoli ha vinto meno di me. La politica messa in atto da noi è giusta, quella legata alla logica dell’agricoltore. Uno semina, annaffia e poi raccoglie. Ci vuole del tempo, noi non usiamo fertilizzanti o scorciatoie. Noi vogliamo vincere per merito». Perché questo inizio di campionato che sembrava della consacrazione è partito sottotono?
«Un presidente come me cos’altro dovrebbe fare oltre a promuovere determinate iniziative, che sono quelle di creare un ambiente che dovrebbe rendere orgogliosi e attaccati alla maglia? Ho fatto una serie di lavori di ristrutturazione del centro di Formello che è diventato tra i migliori in Italia e tra i primi in Europa. Cosa dovrei fare più che promuovere investimenti economici e rinunciare a offerte importanti, alle quali nessuno nel mondo avrebbe detto no? Offerte da 120 milioni? Ci sono testimoni oculari che non appartengono più alla Serie A che lo possono confermare. Questo è l’elemento fattuale e materiale, poi c’è un elemento psicologico del Dna. Serve sana cattiveria agonistica, mantenendo l’umiltà. Uno deve essere cosciente delle proprie qualità. Alla squadra manca il carattere del presidente. Ogni volta che intervengo punto su questo. Sulla base di ciò il presidente non può mettersi tutti i giorni a sferzare, cerco di dare l’esempio. Le partite si vincono o si perdono, ma sono convinto che la squadra deve dare di più, perché ha le potenzialità per farlo. Se uno riceve, deve anche dare. Un dare di testa, di convincimento. Devi entrare in campo con la testa oltre che con i muscoli. Alleniamo. oltre al fisico, anche la mente».
Lei ha dato una Ferrari a Inzaghi? «Come se chiedesse all’oste se è buono il vino. Penso che la Lazio possa competere alla pari con tutti. Il fatto stesso che abbia vinto la Supercoppa contro la Juve che aveva vinto tutto, e contro l’Inter del Triplete. Se questa squadra avesse quel carattere della Lazio che batté l’Inter, vedrebbe tutti dall’alto in basso. Si vince così. Competitività in campionato? La Lazio di Peruzzi, che oggi ha un ruolo importante, vinse 9 partite di seguito, contro squadre importantissime. Oggi dovete fare anche un ragionamento, se è vero che gli investimenti contano, la Lazio fattura 130 milioni, la Juve 480. Se andiamo a vedere il dato di indebitamento, la Lazio possiede un patrimonio immobiliare di 200 milioni che non so quante società abbiano, ce l’ha la Juve con lo stadio, ma senza non lo so. Poi 600 milioni di patrimonio giocatori e potenzialità di un certo tipo. Il mio lavoro l’ho fatto, sul campo non ci vado. Se ci andassi produrrei altri risultati, è problema di Dna e carattere. La vita è un set di un film, i protagonisti sono pochi. I caratteri vanno forgiati e se tu non li abitui, è normale che perdano motivazioni. Perché alcune città hanno capacità creative e fantasia? La storia li ha costretti, l’ambiente li obbliga a trovare soluzioni». Avendo diagnosticato mancanza di cattiveria, vi siete chiesti se fosse il caso di cambiare qualcosa?
«Io ho cambiato gli undici titolari, ma l’impiego non spetta a me. C’è qualche mio collega che fa la formazione, io non l’ho mai fatto. Le persone devono avere le possibilità di sviluppare le loro potenzialità, magari necessitano di un tempo di maturazione più lungo. Ecco perché ancora oggi ho accettato un’impostazione di un certo tipo, anche se ho fatto delle correzioni su segnalazione del ds, ho preso altri giocatori e sono convinto possano fare bene. Quando è arrivato Correa io lo credevo un grande giocatore, per alcuni invece no. Poi alla lunga è stato messo nelle condizioni di esprimersi. Se ognuno di noi avesse un po’ di umiltà, probabilmente arriverebbero risultati diversi. Sono abituato a lavorare in equipe, decido solo io perché è giusto così, ma ascolto tutti. E se dicono cose giuste le faccio mie. L’interesse supremo è quello della società, di raggiungere il risultato. Quando c’è individualismo i risultati non si ottengono. Tutti devono lavorare nell’interesse del gruppo. Il problema è quando uno pensa di essere diventato un fenomeno e rischia di commettere degli errori».
Si riferisce a una persona in particolare o siamo maliziosi? «Non siete maliziosi, ma individualisti. Il problema vero qual è? Se è un gioco di squadra, tutti devono agire nella logica del bene comune. Nella struttura devono esserci gerarchie e vanno rispettate. Dove c’è disordine vige la povertà. Quando qualcuno consente che ciò non accada, questo crea destabilizzazione. Qual era il problema? Sulla base di questa cosa dobbiamo creare le condizioni affinché ognuno sia cosciente dei propri mezzi, ma abbia l’umiltà di capire che non è indispensabile. Tutti utili, nessuno indispensabile. La squadra con Peruzzi portiere che vinse 9 partite di seguito, andò in Champions, vinse una Coppa Italia. In quel caso la determinazione ha fatto la differenza, assieme allo spirito di gruppo, all’umiltà, e vivevano in condizioni disagiate».
La Lazio non cresce in campionato perché non tutti lavorano come collettivo? «Allora, vi chiedo: noi abbiamo perso una Champions all’ultima giornata con l’Inter con 2 risultati utili su 3, giusto? Voi De Vrij lo avreste fatto giocare?». No.
«Appunto… Uno, nella vita, deve prendere dei rischi se riguardano solo la sua persona. All’epoca mi sentii dire: “De Vrij è un grande professionista”. Ricordo quella partita, già nel primo tempo avevamo rischiato di prendere un gol, era stato un campanello d’allarme. Il buon senso passa attraverso l’umiltà e l’interesse collettivo. Se io prendo l’ultimo scemo, lo metto a fare un lavoro delicatissimo e poi sbaglia, il danno chi lo paga? Io, in prima persona. Poi mi chiedete perché la Lazio non abbia raggiunto certi risultati e vengo definito anche “Lotirchio”, nonostante io spenda parecchio. Le responsabilità sono di tutti, mi assumo quelle di De Vrij perché ho consentito di commettere un errore. Ho avallato la decisione, non sono intervenuto. Ora comincio ad avere maggiore saggezza ed esperienza». Critica Inzaghi sulla scelta di De Vrij?
«Uno dei motivi è stato De Vrij, abbiamo perso quella partita per lui. Parlo di fatti. Se l’allenatore l’ha fatto giocare, forse è perché qualcuno gliel’ha consentito. Quando ho posto il problema, alla risposta ricevuta commentai che non fossi convinto e che non l’avrei fatto giocare. E’ la verità. L’esperienza, la necessità e la determinazione fanno la differenza. Io ho acquisito la mentalità della strada, che è meglio di quella del salotto. Per strada ti devi difendere, sei in grado di capire i rischi. La mia squadra non ha questa impostazione, vive bene, molto bene. La responsabilità in alcuni casi è stata mia perché ho avallato le richieste fatte. Gli stipendi son passati da un importo a un altro maggiore, abbiamo valorizzato i calciatori dal punto di vista del mercato, quindi ora devono dare il 300% in campo». Adesso vuole stringere e ottenere risultati?
«Nella vita ci sono dei diritti e dei doveri. Questa la stagione dei doveri, i diritti sono finiti. Ce li ho io, non gli altri. E i doveri si acquisiscono coi risultati, io ora voglio quelli. Chiaramente in funzione di quello che si ha. Non chiedo il doppio salto mortale, io dico “ti ho dato una Ferrari e ora voglio i risultati”. Tu, calciatore, devi valere lo stipendio che prendi. Un
«Manca la fame, qui tutti stanno bene Vorrei un carattere da combattimento somigliante al mio Io mi sono forgiato»
«Penso che la Lazio possa competere, degli innesti ci sono stati, ma non entro nella formazione come altri colleghi»
«Correa per me era un grande giocatore anche l’anno scorso Panchina adeguata: tempo e occasioni vanno concesse»
«Gli acquisti sono validi, non credo Tare li sbagli. Se non giochi ti appiattisci»
«La Salernitana? Ho voluto superare me stesso, voglio provare a vincere Poi dovrò vendere per regole miopi»
«De Vrij con l’Inter io non lo avrei fatto giocare, mi dissero di non avere dubbi»
«Percassi sa fare calcio, complimenti all’Atalanta: dimostra di avere tanta fame»
giocatore mi disse “presidente lei ci paga per giocare”. Io dissi: “No, ti pago per vincere, sennò metto la Primavera che mi costa un miliardesimo di meno”».
Non le basta quanto ottenuto finora?
«Certo che no, quello che ho fatto io non l’ha mai fatto nessuno. Voglio ottenere quello che ho fatto. Io opero da presidente, loro da calciatori. Poi le partite si vincono e si perdono».
La Lazio ha un po’ la panchina corta?
«A destra abbiamo Marusic e Lazzari, ok? A sinistra, invece, che dite? Lulic tutta la vita? Per quel ruolo è stato comprato Jony. Poi le persone devono essere messe nelle condizioni di potersi esprimere al meglio. Se arriva da un altro Paese, gli devi dare tempo per assimilare la cultura e il nuovo calcio. Quando hai l’alternativa e magari non la usi mai, poi può capitare che ci sia un processo di appiattimento. Qualcuno può pensare di essere indispensabile. Indispensabili sono solo i presidenti, quelli non ci sono più. Trovatemeli».
I tempi di attesa contemplano rischi. Vedi Jony a San Siro.
«Dei rischi e dei tempi. Ma voi fate ragionamenti teorici e parlate di singole partite. Bisogna modellare la squadra rispetto all’avversario che si affronta. Ci sono delle partite in cui si potranno utilizzare delle caratteristiche, altre partite invece in cui ci si dovrà affidare ad altri giocatori. Se c’è appiattimento, uno smette di dare il massimo, questo anche nella logica della panchina. Io non mi sono mai messo di mezzo nelle scelte dell’allenatore. Questo però è un gioco di squadra, ci sono 25 giocatori, tutti sono stati presi pensando fossero utili. Allora o il ds ha comprato dei giocatori sbagliati, e non penso perché li ha presi di concerto con l’allenatore, oppure chi è stato preso non è idoneo. Parliamo di un gioco di squadra. Il presidente, essendo esterno e non venendo contaminato dal quotidiano, vede cose con obiettività. Qui non ci sono i guru del calcio, ma ho dimostrato in alcuni contesti di aver fatto scelte vincenti. Il problema è quando uno vive in solitudine e si assume paternità e responsabilità. Sempre meglio quattro cervelli che uno. Poi serve però uno che faccia la sintesi. Io ascolto, dopo dentro di me rifletto e decido. Lo stesso devono fare gli altri. Si vince tutti insieme, significa che tutti fanno parte del progetto. Se ti consideri fuori dal progetto, è chiaro che poi non darai il 100%. Lo sa chiunque abbia fatto un po’ di psicologia».
L’Atalanta è arrivata davanti alla Lazio negli ultimi due campionati su tre. Ha più fame?
«L’Atalanta ha un’ottima organizzazione, ho grande stima di Percassi, c’è rapporto e identità di vedute. E’ una persona che sa fare calcio, sicuramente ha anche un vantaggio, che lo fa in una città meno oppressiva rispetto a Roma. La piazza più difficile in assoluto dove fare calcio è Roma. Ci sono delle pressioni istituzionali, politiche, ambientali e mediatiche che non ci sono da nessuna parte. Ma i loro meriti sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare. Hanno più fame? Sicuramente sul campo si vede. E gli stipendi, lo dite anche voi, sono inferiori a quelli della Lazio».
Con la Salernitana in Serie A cosa farebbe Lotito?
«Io quest’anno, un po’ come le colonne d’Ercole, ho voluto superare me stesso. Voglio provare a vincere il campionato e ho allestito una squadra competitiva, ho preso un allenatore che ha consentito a tante squadre di vincere la Serie B. Chiaramente se vado in Serie A, con le norme miopi, dovrei lasciare la società. Oggi la limitazione arriva sino al quarto grado, una cosa ridicola. Sono stato il primo ad avere la doppia squadra, in modo trasparente. L’ho presa in eccellenza, ripescata in Serie D e in quattro anni portata in Serie B, vincendo Supercoppa di Lega di Serie C2, mai vinta prima dal club, e la Coppa Italia di Serie C, idem. E poi l’ho portata in Serie B. Qualcosa ho imparato nel mondo del calcio. Adesso spingo sull’acceleratore. Ci andrà in Serie A? Non lo so, la squadra è fatta per provarci. Nel caso, troveremo qualcuno che la compri e le mie qualità potrebbero portare a trovare altre soluzioni».
Champions fondamentale per la crescitaeconomicaesportivadella Lazio?
«La Champions ti aiuta, come si dice. I soldi non fanno la felicità, ma aiutano».