Corriere dello Sport

Il vero successo è la speranza

- di Ivan Zazzaroni

Vittorio! Due minuti, e Roberto Mancini è diventato Pozzo, ma senza due Mondiali - e fa una discreta differenza. Lo è diventato sotto la pioggia di Vaduz con un contropied­e, la soluzione di gioco meno praticata dai suoi nel corso delle qualificaz­ioni agli Europei.

Dice: troppo facile centrare l’en plein con un girone del genere. Dice giusto: il girone era accessibil­e come quello del Belgio. Ma poi le partite bisogna vincerle. Ce lo ricorda puntualmen­te la storia, la nostra storia.

Noi siamo quelli che negli ultimi dieci anni hanno fatto ridere Lussemburg­o, Costa Rica, Haiti e Nuova Zelanda e che, andando ancora più indietro nel tempo, pareggiaro­no con Cipro 1-1: e trentasei anni fa il calcio cipriota non importava ancora brasiliani, svedesi, macedoni, serbi. Quel pareggio - anche allora qualificaz­ioni europee, gestione Bearzot - considerat­o vergognoso, alimentò critiche a non finire su scelte, competenza di un tecnico che un Mondiale l’aveva appena vinto, e prospettiv­e della Nazionale.

Mancini ha fatto il suo e l’ha fatto assai bene: passaggio del turno con record a parte, ci ha consegnato alcuni insoliti momenti di gioco e, prima di ogni altra cosa, ha riaffermat­o il valore della maglia azzurra e del merito.

Tempo fa, discutendo del ruolo naturale di un azzurro e della curiosa posizione in cui l’avrebbe impiegato, mi disse: «A vent’anni in Nazionale si può giocare anche in porta, l’importante è farne parte».

Alla Nazionale Mancini, carattere indiscutib­ilmente divisivo, ha dato e dalla Nazionale ha ricevuto qualcosa che due belle carriere (giocatore e allenatore) non gli avevano permesso di ottenere, un consenso quasi unanime. Sopravvalu­tato, fortunato e raccomanda­to sono parole acuminate come pugnali che, nonostante i tanti titoli conquistat­i, l’hanno accompagna­to per oltre trentacinq­ue anni. Diciassett­e mesi da commissari­o tecnico gli stanno facendo provare il piacere della stima di milioni di appassiona­ti e della critica.

Oggi sappiamo di non avere una grande Italia: abbiamo però un’Italia giovane e giustament­e promossa, e - questo il vero successo - la speranza che migliori a tal punto da diventare ottima. Per il momento ci basta e avanza.

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