Corriere dello Sport

«MARQUEZ, VIENI IN SUPERBIKE»

Jonathan Rea rilancia dopo i cinque titoli mondiali di seguito e sogna di sfidare il leader della MotoGP «So che Marc sarebbe là davanti ma è il benvenuto Valentino è unico, io smetterò prima: ho famiglia»

- di Mirco Melloni (HA COLLABORAT­O SERENA ZUNINO)

Nei libri dei record del Motorsport, il suo nome è accanto a quelli di Michael Schumacher, Valentino Rossi e Mick Doohan. Eppure i cinque titoli consecutiv­i nella propria specialità, impresa da far invidia agli altri cannibali del presente Lewis Hamilton (vicino al tris) e Marc Marquez (quattro), non lo hanno cambiato. Per molti versi, Jonathan Rea, sovrano della Superbike, ricorda piuttosto Andrea Dovizioso: estrazione (Motocross), idolo dell'adolescenz­a (Kevin Schwantz) e il carattere sempre misurato sono gli stessi. La differenza, forse, è legata a Marquez: uno l'ha sfidato e contro di lui ha vinto battaglie ma mai guerre, l'altro vorrebbe trovarselo di fronte. «Mi diverto molto a vedere ciò che Marquez riesce a fare, ha portato qualcosa di nuovo nelle corse. Allo stesso tempo mi piace anche Dovizioso, perché riesce ad avere sempre quest’aria da ragazzo normale».

Anche Rea ha l'aura dell'uomo normale: marito, padre di famiglia, c'è soltanto il dettaglio dei cinque Mondiali consecutiv­i.

«Sono felice perché la Superbike mi ha fatto mantenere due personalit­à distinte. In circuito sono Jonathan Rea il pilota, fuori sono Jonathan Rea padre e marito: sono felice che lo sport non abbia preso il sopravvent­o sulla mia vita».

In Superbike, i piloti che hanno già costruito una famiglia sono molto men orari rispetto alla Moto G P. Forse perché è un campionato meno esasperant­e?

«Non saprei, l'unica differenza che vedo è che la Superbike è a prevalenza britannica».

Come se lo spiega?

«Il nostro campionato nazionale Superbike è di alto livello, per seguito e piloti. E dalle edizioni del 2006 e 2007 siamo usciti io, Tom Sykes, Leon Haslam, Leon Camier, più Cal Crutchlow che è andato in MotoGP. Da noi la scuola si fa con le moto di cilindrata più grossa, ma questo rende più difficile il ricambio generazion­ale nel Motomondia­le». Qual è l'essenza del pilota britannico?

«Penso alla gara della svolta di questa stagione Superbike, a Donington. Era luglio ma c'era un diluvio tipicament­e inglese. Il team mi disse: “Tu devi vincere, devi vincere, ci servono quei 25 punti”. Serviva coraggio, quel giorno, però ho vinto e ho preso la testa del campionato».

Alvaro Bautista è l'avversario che più l'ha impegnata?

«Sì, è il pilota più forte che abbia mai affrontato. Appena è arrivato in Superbike ha vinto la prima gara con 15 secondi di vantaggio». Si è spiegato il suo crollo dopo le 11 vittorie iniziali?

«È molto difficile capire cosa sia successo a livello psicologic­o, perché nei primi quattro round non aveva commesso alcun errore e anche la nuova Ducati era stata incredibil­e. Posso parlare dal nostro punto di vista: abbiamo notato alcuni punti deboli che ci hanno spinto a lavorare e a crederci. E in occasione di dieci delle sue 11 vittorie, io sono arrivato secondo».

Ha sconfitto Bautista, veterano rispettato ma mai top rider in MotoGP: cosa farebbe se un Marquez in cerca di nuove sfide dovesse approdare alla SBK?

«Sarebbe il benvenuto. Io non sono imbattibil­e, quindi non è detto che serva Marquez per interrompe­re la mia sequenza di titoli. La certezza è che lo vedremmo là davanti, perché puoi cambiare campionato, moto e gomme, ma il talento e la mentalità di Marc non evaporano».

E se fosse Rea a sfidarlo in MotoGP, magari con un ritorno della Kawasaki?

«Mai dire mai. In questa fase della carriera preferirei restare in Superbike, ma se la Kawasaki dovesse decidere di puntare su questo progetto, sì, mi piacerebbe essere coinvolto. Per ora io e Marquez abbiamo soltanto una cosa in comune, oltre al titolo di campioni del Mondo».

Quale?

«La fede azulgrana. Anch'io tifo Barcellona».

Si sente il Leo Messi della Superbike?

«La gente magari non lo realizza, ma anche il nostro è uno sport di squadra. Alla Kawasaki ho trovato un team che gira a meraviglia, come il Barça del tiki-taka di Pep Guardiola». A 32 anni, si vede in sella per un altro decennio, per emulare Valentino Rossi?

«Ammiro Valentino per mille ragioni, non ultima la sua longevità, che è un misto di perseveran­za e determinaz­ione. Io non conosco il mio futuro, ma anche se vivo una fase in cui amo le gare ogni giorno di più, non credo che correrò a lungo quanto lui. Anche perché Valentino non ha ancora costruito una famiglia, io invece ho due bambini e non potremo continuare a girare il mondo in eterno».

Se uno dei suoi figli un giorno le dicesse di voler ripercorre­re le sue orme, ne sarebbe entusiasta? «Ne ho parlato con mia moglie Tatiana pochi giorni fa: se uno dei miei figli vuole correre in moto, per avere il mio appoggio deve mostrarmi un'intenzione ferma. Come la mia: mio padre mi ricorda che da ragazzino volevo andare in pista ogni giorno,. Serve quel tipo di voglia, perché questo è uno sport pericoloso: se i miei figli si assumono certi rischi, devono farlo per una passione profonda, e non perché qualcuno - magari io stesso - li ha forzati a fare qualcosa».

Dopo cinque titoli, dove troverà gli stimoli per continuare?

«La situazione è la stessa di un anno fa, di fine 2017… Per me vincere il primo titolo ha fatto tutta la differenza del mondo, i successivi sono stati bonus. La verità è che adoro correre con questo team, non ho mai pensato troppo ai record da battere, come i quattro titoli di Carl Fogarty».

Quest'anno ha definito la Ducati Panigale quattro cilindri una moto fuori categoria: è l'ostacolo verso il sesto Mondiale?

«Continuo a pensare che la Panigale V4 sia un riferiment­o in Superbike. Ma è un bene, perché porta i nostri ingegneri e i nostri tecnici a rendere la Ninja ancora più efficace. In alcune aree la Ducati è incredibil­e, soprattutt­o a livello di potenza, ma la Kawasaki è meglio nelle frenate e nella stabilità». Quandosi ritirerà nella sua Temp le patricke ripenserà alla sua carriera, il 2019 avrà un posto particolar­e nei ricordi?

«Sì, anche perché ho vinto la 8 Ore di Suzuka e ho scoperto di averlo fatto un paio d'ore dopo, visto che sono caduto al buio sull'olio all'ultimo minuto, ma soltanto a fine gara i commissari hanno annullato l'ultimo giro. Il 2019 è stato un anno perfetto, ma magari il 2020 andrà anche meglio...».

«La mia vittoria è distinguer­e il Jonathan pilota dal Jonathan padre e marito: lo sport non ha preso il sopravvent­o»

«Non vinco da solo la Kawasaki gira come il Barcellona di Guardiola L’unica cosa che ho in comune con Marc è il tifo per il Barça»

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GETTY IMAGES Jonathan Rea 32 anni in sella alla Kawasaki che gli ha dato il quinto titolo mondiale consecutiv­o
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Giacca e papillon per la cinquina
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GETTY IMAGES Jonathan Rea, 32 anni

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