SUBITO LE SALITE COSÌ CAMBIA IL TOUR
Corsa per scalatori già dalla seconda tappa. La partenza anticipata di una settimana: impossibile l’accoppiata col Giro
Eterno omaggio alla incomparabile enormità del Tour de France, la presentazione d’autunno con la sua parata di campioni eleganti e impomatati può essere superata soltanto dalla tappa finale. Quella che negli altri grandi giri è una formalità, in Francia si rivela sempre un magnifico choc, con i corridori che sfrecciano sui Campi Elisi e sotto l’Arco di Trionfo. Quest’anno poi c’è stato anche il passaggio nel cortile del Louvre a ribadire al mondo che cosa siano la Francia e la sua capitale. Quanto al Tour, la corsa più grande, più famosa e più prestigiosa al mondo, dopo più di un secolo sa ancora stupire. Con il coraggio di cambiare. Prendete l’edizione del 2020, svelata ieri sotto gli occhi incantati di grandi campioni. C’era Chris Froome, che va ancora storto dopo la rovinosa caduta al Delfinato che ha tranciato a metà la sua stagione impedendogli di correre il «suo» Tour, ma che presto sarà di nuovo in gara, il 27 al Criterium di Saitama. C’era Thibaut Pinot, che invece il Tour lo ha corso ma senza riuscire a finirlo e ha confessato che è stata una tortura tornare dopo quella gigantesca delusione, «ho preferito andare in mountain bike, perché non volevo vedere la mia bici da strada ogni giorno, al Tour mi sono deluso, do ancora la colpa a me stesso per l’infortunio». C’era Julian Alaphilippe, definito semplicemente «le roi», il re, per quello che ha fatto quest’anno per la corsa dei francesi. E c’era, elegantissimo con tanto di pochette candida sull’abito blu, Egan Bernal, il vincitore bambino che si è emozionato riguardando il filmato del suo finale fiabesco. SALITE. Dicevamo del 2020. Sarà un Tour per scalatori, fin dalla seconda tappa che presenta inaspettatamente 4mila metri di dislivello, una novità per la Grande Boucle, famosa invece per i suoi primi giorni di noia assoluta. Una prima settimana per fachiri, un’ultima - sulle Alpi - per uomini di fatica. Salite inedite e poco note (mancano invece Alpe d’Huez, Ventoux, Tourmalet e Galibier), e una tappa - quella di Pau - dedicata alla memoria di Felice Gimondi, ricordato con commozione dalla platea. Per la prima volta dal dopoguerra non c’è una crono piatta: l’unica tappa contro il tempo è la penultima, 36 chilometri di cui solo i primi 15 di pianura, gli altri sono una sorta di cronoscalata alla Planche des Belles Filles. Per chi si lamenta quando il Giro d’Italia non passa sotto casa sua: tolto il finale di rito a Parigi, il Tour di quest’anno passa soltanto dal sud del Paese, con netta prevalenza del sud-est. Tutti gli altri lo guardano alla televisione, o approfittano per prendersi le ferie.
SCELTE. A proposito: a causa dei Giochi Olimpici, quest’anno il Tour è anticipato di una settimana (si parte il 27 giugno da Nizza, si arriva il 19 luglio). Se siamo abituati a credere che la doppietta Giro-Tour sia ormai proibitiva nel ciclismo attuale (l’ultimo a riuscirci fu Marco Pantani, era il lontano 1998), quest’anno neanche a pensarci. Anche perché all’orizzonte ci sono altri impegni importanti per lo stesso tipo di corridori: il percorso dei Giochi di Tokyo e quello dei Mondiali di Martigny sono entrambi adatti agli scalatori. Si tratterà allora di scegliere. Uno che lo ha sicuramente già fatto è Chris Froome, che ha sempre in testa l’idea di raggiungere a quota cinque successi i grandissimi di questo sport. «Il quinto titolo al Tour è di per sé una grande sfida, ma ottenerlo dopo quella che poteva anche essere la fine della mia carriera sarebbe ancora più bello. Ci sono state molte persone che dopo l’incidente hanno detto che ero finito, mi hanno solo stimolato. Bernal ha detto di essere pronto ad aiutarmi, ma dovrò essere il più forte. Se il più forte è Bernal, allora sarò felice che vinca lui, perché è così che va la corsa: vince il più forte».