«SOGNO L’ORO DI TOKYO MA NON SONO CHECHI»
Marco Lodadio, argento mondiale agli anelli, sempre più in alto «Nel 2015 ero a un passo dal ritiro, oggi mi godo le medaglie e non mi pesa l’Olimpiade da favorito Mi piacerebbe un esercizio con il mio nome»
Marco Lodadio non soffre di vertigini. Semmai, rilancia verso l’alto e, dopo l’argento iridato negli anelli di Stoccarda, il ventisettenne di Frascati fa sogni aurei per i Giochi di Tokyo. Il bronzo mondiale dello scorso anno a Doha e quello europeo della primavera a Stettino erano soltanto un antipasto, ora è proiettato in una nuova dimensione in ottica olimpica. Ma non basta, l’aviere azzurro vuole lasciare il segno anche con un movimento che porti il suo nome nel Codice internazionale, magari già prima di volare in Giappone.
Che cosa le resta dell’esperienza iridata?
«È cresciuta l’autostima e la consapevolezza che il lavoro fatto è quello giusto. Era la prima volta che facevo un Mondiale qualificante per i Giochi, perché nel 2015 stavo quasi per smettere: 4 anni dopo, ho in tasca il pass per l’Olimpiade. L’esplosione di gioia dopo la gara era per tutti i miei compagni della squadra maschile, che mi hanno sostenuto e con cui abbiamo mancato per mezzo punto la qualifica corale».
Rispetto al bronzo di Doha, cosa è cambiato con quest’argento a così poco dal titolo mondiale? «Molti atleti delle altre nazioni mi hanno fatto i complimenti e l’hanno rimarcato. L’esercizio del turco non l’ho neanche visto, perché mi ero isolato mentalmente. Dopo l’ho rivisto, ma sono molto autocritico per cui il mio parere vale poco. La mia più grande soddisfazione, semmai, è di essere passato da essere un outsider a uno degli uomini da battere: non ho paura di presentarmi a Tokyo come uno dei favoriti». Come commenta il gesto del turco Colak sul podio?
«Quando ho visto la scena, mi sono ricordato che in passato lo faceva anche il brasiliano Zanetti e pensavo che facesse il saluto come omaggio al suo corpo militare. Della situazione in Siria non sapevo nulla perché in quei giorni mi sono proprio isolato dal mondo, concentrandomi solo su me stesso».
Che ne pensa della commistione tra sport e politica?
«Non so dire con certezza se quello fosse un gesto di propaganda, ma poi mi hanno raccontato e ho visto che anche i calciatori l’hanno fatto negli ultimi giorni. Sinceramente, per me lo sport deve rimanere fuori dalle faccende politiche». Si concederà un po’ di relax dopo l’argento? «Sì, passerò del tempo con la mia ragazza Eleonora, che mi ha fatto una sorpresa ed è venuta a seguirmi a Stoccarda coi miei genitori, e poi vedrò i miei amici. Mi piacerebbe anche andare a trovare mia sorella minore, Roberta, che si è trasferita a Tenerife per lavoro».
Lei segue altri sport?
«Sono tifoso della Roma e, in primavera, dopo il bronzo agli Europei sono andato a vederla allo stadio. Da quando non c’è più Totti però, non è lo stesso. Poi, adoro le moto, faccio il tifo per tutti i nostri centauri, in particolare per Vale Rossi e stravedo per la Ducati, simbolo del Made in Italy». Come ha scelto la ginnastica? «Ho cominciato più tardi rispetto ad altri, attorno agli 8 anni. I miei genitori mi hanno fatto crescere in palestra perché ne gestiscono una a Frascati, dove sono nato io. Da bambino, ho fatto di tutto: giocavo a calcio, nuotavo, ho fatto arti marziali, poi qualche partita di rugby. Dopo la prima gara di ginnastica, mi hanno proposto di continuare a farlo seriamente. Visto che ero molto agile e mi piaceva saltare e arrampicarmi, ho iniziato questo percorso. Poi c’è stato il provino all’Acquacetosa a 10 anni, dove mi ha visto per la prima volta il mio allenatore, Luigi Rocchini, e da lì è cominciato tutto».
I suoi genitori erano ginnasti? «No, mia mamma Antonella viene dall’atletica, ha raggiunto anche la Nazionale junior, mentre mio papà Massimo giocava a pallone, ma non ad altissimo livello, poi insieme hanno cominciato a gestire questa struttura. In futuro, mi piacerebbe aprire una palestra di alto livello tra i Castelli Romani e Frascati, perché al momento manca un riferimento di questo tipo nella nostra zona. La nostra disciplina è conosciuta e promossa poco, mi piacerebbe fare come i campioni del passato: gli anelli li ho conosciuti grazie a Jury Chechi». Le pesa il paragone?
«Con Jury ho parlato in più di un’occasione e mi ha dato consigli importanti quando ne ho avuto bisogno. È una persona che ammiro, ma che appartiene a un periodo diverso dal mio, per questo non voglio che siano fatti paragoni con lui. Io sono convinto della mia strada e non voglio vivere nella sua ombra».
Per questo sta addirittura studiando un movimento che porterà il suo nome?
«È una cosa che ho in cantiere da più di un anno. Non l’ho ancora proposta alla giuria internazionale, perché in questo periodo mi serviva la prestazione più precisa, visto che negli anelli si gioca sempre sul filo dei millesimi, e perché volevo prima farmi riconoscere a livello mondiale nella nostra disciplina. Avere un nome sul codice sarebbe una cosa ancora più bella: spero di poterlo presentare in una tappa di Coppa del Mondo prima degli Europei e dell’Olimpiade, sperando che venga riconosciuto. Poi, nel caso, vedrò se proporlo a Tokyo a seconda di come verrà giudicato e di quanto sarà dispendioso all’interno dell’esercizio».
«Da Jury ho avuto spesso consigli: ho conosciuto gli anelli grazie a lui Lo ammiro ma era un’altra epoca»
«Passerò un po’ di tempo con la mia fidanzata e vorrei andare a trovare mia sorella a Tenerife Poi rotta sui Giochi»
«Vorrei aprire una palestra ai Castelli Romani La ginnastica piace però mancano le strutture»