Corriere dello Sport

«E’ un Cagliari da Centenario»

Joao Pedro: Noi forti allegri e spensierat­i

- di Daniele Rindone INVIATO A CAGLIARI

Sale. Vola in alto. Arriva dove vuole perché non c’è più paura nei suoi occhi: «Ne ho avuta, mi ha fatto diventare più forte.

Sale. Vola in alto. Arriva dove vuole perché non c’è più paura nei suoi occhi: «Ne ho avuta, mi ha fatto diventare più forte. Quando mi dicono “non ce la farai” tiro fuori qualcosa in più, ma non voglio ripassarci». Joao Pedro è il Cagliari. Ha sofferto, si è rotto, ricostruit­o, rincollato, si è fermato, riallenato, rialzato, si è superato: «Quant’è bello essere quinti, quant’è bella la sensazione di vincere con il Cagliari». Ha costruito il suo miracolo pezzo per pezzo e ora, assieme a Maran, Nainggolan, Nandez, Rog e tutti gli altri, ha voglia «di dare fastidio a tutti». Troppi dispiaceri, troppe offese al cuore e all’orgoglio, troppe risalite dagli ultimi posti, dal buio. Joao Pedro è il Cagliari perché dentro di lui gridano le voci felici dei tifosi. Perché tutti insieme, società, squadra e città, non hanno più paura di nessuno né del grande salto.

Joao Pedro, dalla retrocessi­one 2015 al quinto posto 2019. E’ un volo senza fine, vi siete messi a scalare l’Olimpo.

«E’ cambiata la mentalità. Il Cagliari negli ultimi anni ha sempre giocato per salvarsi. Adesso, con questa rosa, si deve fare di più. Vogliamo dare fastidio a tutti».

Lo state già facendo.

«E’ l’anno del Centenario del Cagliari. E’ importante per tutti, per la società, per la città, per noi che dobbiamo scendere in campo. C’erano giocatori forti, ne sono arrivati altri. Quando hai una rosa così, che era fatta di giocatori importanti ed altri ne sono arrivati, si creano i presuppost­i per fare qualcosa di bello».

Per Cagliari, per la sua gente. «L’entusiasmo si sente, è giusto che ci sia, ma solo per chi vive fuori dal campo. Siamo quinti, veniamo da sei risultati di fila, è tutto meraviglio­so, ma noi dobbiamo rimanere con i piedi per terra. Il campionato è fatto di fasi, di alti e bassi, siamo all’inizio. Ci sono da giocare 30 partite, dovremo fare il massimo in ognuna».

Lei ha giocato l’Europa League con il Vitoria Guimarães nel 2011, quanto varrebbe giocarla con il Cagliari?

«Quanto uno scudetto, ma è un errore pensare adesso ad un sogno ancora troppo lontano. Prima non c’erano queste potenziali­tà, ci sarà il momento per capire cosa ci aspetta nel futuro. Prendere un impegno adesso, dire andremo in Europa, non ha senso. Lavoriamo per provare a restare in alto».

E’ l’anno della svolta, il Cagliari è cambiato.

«Siamo sulla strada giusta, d’ora in poi dovremo crescere anno dopo anno. Io non guardo la classifica, mi sta piacendo vincere partite su partite».

Chi è il mago, qual è stata la magia?

«C’era un gruppo forte, chiuso nel senso buono del termine, granitico, lo è ancora di più. I nuovi si sono messi subito a disposizio­ne. Il segreto è che pensiamo tutti con una sola testa».

Maran è il divinatore, il prestigiat­ore tattico e gestionale. «Siamo simili perché viviamo tutto intensamen­te. Possiamo sbagliare, ma dando il massimo. Maran, in questo Cagliari, può scegliere ad occhi chiusi per fare la formazione. E’ il nostro capo, sa cosa chiedere, sta facendo un gran lavoro e non era facile. Lottavamo per la salvezza l’anno scorso, adesso stiamo facendo cose importanti».

Ilcalcio“maraniano”inunaparol­a. «Intensità. Ci vuole intensi in tutto, fa la differenza perché metti gli avversari in difficoltà».

E il presidente Giulini dove vuole arrivare?

«Dobbiamo pensare a far bene in ogni partita, ce lo dice spesso. E’ un presidente ambizioso, ha un grande progetto. Prima la salvezza, poi ci divertirem­o. Salvarci presto ci darebbe la possibilit­à di ambire».

E’ il Cagliari dei centrocamp­isti capi carismatic­i. Nainggolan e Nandez, due anime in più. «Sono veramente forti. Sul Ninja c’è poco da dire. E poi ci sono Rog, Simeone, sono arrivati tutti con lo spirito giusto. Sembrano qui da molto tempo».

Radja può indicare la strada per l’Europa.

«E’ tornato a casa, è contento, sereno, ha voglia di fare bene. Ha vissuto l’Europa molto più di noi, in campo si nota il suo peso. E’ un trascinato­re, basta che ci sia per caricarci».

E’ un Cagliari in salsa sudamerica­na.

«Brasile, Uruguay, Argentina. Da molto tempo non mi capitava di stare in squadra con tanti sudamerica­ni. Ci divertiamo, prendiamo in giro tutti. Ci siamo visti a cena qualche volta, tanto per stare bene e farci delle risate».

JoaoPedroa­360gradi.Attaccante dopo aver fatto il giro del campo. «Ho iniziato da trequartis­ta, ho fatto la mezzala nelle nazionali giovanili, anche a Cagliari. In più la seconda punta, l’esterno, ora gioco in attacco. Il mio problema è non giocare. Fin quando sono dentro al campo va tutto bene (risata, ndi)».

«Il piano di Giulini è crescere anno dopo anno: insieme al trascinato­re Nainggolan e a tutti gli altri pensiamo davvero in grande»

Sesta stagione cagliarita­na, ormai è un leader, tocca a lei parlare nello spogliatoi­o.

«E’ giusto che ogni tanto dica qualcosa. Ma le bandiere sono Daniele Conti, Andrea Cossu e Alessandro Agostini. Al Cagliari ho dato tutto me stesso e continuerò a farlo».

Ha un contratto fino al 2022, si parla di rinnovo.

«Non ci penso per adesso, qui mi sento a casa. Ho iniziato la stagione con un solo obiettivo: dare il massimo in ogni allenament­o e in ogni partita, vivere un anno speciale per me e per il Cagliari. Non sono cresciuto da tifoso rossoblù né sono cagliarita­no, ma ho imparato a capire cosa prova la nostra gente. Vogliamo farli divertire».

«L’incubo doping non mi fece parlare La mia voce era quella di mia moglie Ora sono più forte anche grazie al mix di sudamerica­ni»

Ne ha superate tante, chi è Joao Pedro oggi?

«Ogni anno fai qualcosa in più, impari, cresci, acquisti esperienze. Ho

«Giocai con Neymar e mi voleva al Barça Il gruppo rossoblù è fantastico anche grazie a Maran: lui è bravo a ottenere il massimo da tutti»

una carica diversa, non vedo l’ora che si giochi. Sono più padrone di me stesso, arrivo alla partita felice, non ho paura di ciò che succederà. So di essere pronto». La discesa all’inferno. Le accuse di doping, il processo, la fine del caso. Se la sente di parlarne? «Ho avuto paura, faccio fatica ad entrare nell’argomento. Mi ha segnato». Paura di cosa?

«Non avevo paura di dimostrare la mia innocenza, sapevo che non avevo fatto nulla di sbagliato. Avevo paura che mi venisse inflitta una punizione che non meritavo. Avrebbe potuto cambiare la vita della mia famiglia in Italia e della mia famiglia brasiliana». Da perderci il sonno.

«Così è stato. Nei primi mesi sono stato molto male. Mia moglie Alessandra è stata fondamenta­le, non riuscivo a parlare. La mia voce è stata lei, senza non ce l’avrei fatta. Sono stato fortunato, mio figlio André Felipe era più piccolo ed Elisabetta non era ancora nata. Non ha vissuto quella mia sofferenza». Maggio 2018, le dicono che può giocare a Firenze in attesa del processo. Il Cagliari è a rischio B, lei entra e vincete (0-1). «Entrai in corsa, furono minuti strani. Non mi sentii lì veramente, in campo intendo. Provai ad aiutare i compagni, a fine partita tornai nell’incubo». Pianse davanti a 1.000 tifosi in delirio. «Fu ancora più pesante, si avvicinava il giorno del processo. Uscendo dal campo pensai “chissà quando ritornerò”. Era la paura». Il processo, il ritiro 2018 saltato, l’assoluzion­e. Poi, a settembre, il gol in Cagliari-Milan (1-1). «Quel gol era dentro di me, avevo un presentime­nto. Non è equiparabi­le neppure ad un gol in finale Mondiale». Stagione 2012-13. Dal Palermo, dopo i prestiti al Guimarães e al Peñarol, passa al Santos. «C’era un cambio generazion­ale dopo la vittoria della Libertador­es del 2011. In più Neymar e Ganso erano impegnati alle Olimpiadi. Ma non andò bene. Il Santos è il club di Pelé e giocare con Neymar è stato fantastico». Neymar e Joao Pedro, ci ripensa a volte? «Abbiamo giocato insieme anche nell’under 17 brasiliana, mi faceva gli assist. Siamo amici, ma non ci sentiamo da un po’. In passato ho incontrato suo padre e sua madre, ha una famiglia stupenda». E’ vero che voleva portarla a Barcellona? «Magari l’avesse fatto (risata, ndi)... Solo una battuta». In quell’under 17 c’erano anche Coutinho, Wellington e Alisson. «Una generazion­e che avrebbe potuto vincere il Mondiale giovanile».

A 19 anni, con il Peñarol, ha giocato la Libertador­es. Perché le è sempre mancato il salto in alto? «Giocarla con il Peñarol, squadra storica, nel suo Centenario, è stato fantastico. E’ mancato qualcosa in me, del salto non sono stato capace io. Penso da dove sono partito e dove sono arrivato, mi può bastare così». Da dove è partito?

«Dalla polvere, ma non quella estrema. Avevamo da mangiare e ci bastava. Ma ho conosciuto quella parte di mondo, è per questo che dico “ok, sono soddisfatt­o della mia vita calcistica”. Potrebbe finire oggi, è come se avessi vinto due-tre Mondiali. Non è stato facile arrivare fin qui. E’ un merito in più».

Ipatinga, la sua città.

«Ho lasciato casa, per il calcio, a 13 anni. Siamo tre fratelli, uno gioca nella B portoghese. Papà lavorava di giorno, mia madre di notte come cameriera. La nostra era una casa piccolissi­ma, di due stanze, dormivamo tutti insieme. Ma io ero felice con poco, non mi mancava niente». Non si è mai sentito sconfitto.

«Siamo unitissimi da sempre, ci aiutiamo. A quel tempo non sapevo cosa ci fosse fuori nel mondo. Mi hanno educato nel miglior modo possibile. Si parla sempre del giocatore, ma io sono contento dell’uomo e del papà che sono diventato. E’ la cosa più importante». Joao Pedro e Cagliari, il suo piccolo Brasile. «I brasiliani e i sardi sono simili, caldi. Ho portato la mia vita qui e loro mi ricaricano ogni giorno. Sono un tipo semplice, sto molto a casa, mi piace andare in centro, portare mio figlio in piazza. Oggi è facile andare in giro, ma i momenti più belli li ho vissuti nelle difficoltà. I tifosi mi sono sempre stati vicini, li ringrazier­ò a vita». Ogni gol è per Andrè Felipe, il suo primogenit­o. «E’ sempre allo stadio, da quando era neonato. E’ tifosissim­o del Cagliari. Prima di ogni partita sceglie le esultanze e io, dopo i gol, urlo “papà ti ama”».

Perché ha quel tatuaggio di Michael Jordan? «Amo l’NBA, guardo molte più partite di basket che di calcio. LeBron James il top, Jordan un mito».

Joao Pedro, cos’è la vita per lei?

«E’ sapersi donare. Mia madre mi portava in chiesa da piccolo, credo in Dio, tutto ciò che succede è merito suo. Siamo venuti al mondo per aiutare il prossimo».

«Ho lasciato casa a 13 anni per il calcio Grazie alla famiglia sono diventato un buon marito e un buon padre: è ciò che mi fa felice»

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Sesto anno in rossoblù Joao Pedro (27 anni) è arrivato al Cagliari nell’estate del 2014
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CANNAS Joao Pedro con il nostro Daniele Rindone e sopra mentre legge il Corriere
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GETTY L’attaccante del Cagliari in due momenti di questo campionato
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