Pellegrini accorcia i tempi è lui che garantisce i gol
Con Lorenzo in campo 1,85 reti a gara, senza 0,66. Nella testa un miracolo: Parma il 10 novembre Altrimenti Roma-Brescia il 24
Quando hai la Roma nel sangue, stare fuori ti brucia. E ti brucia di più quando vedi che tutto attorno a te si sgretola. E allora nella testa ti sale la follia di bruciare le tappe. Ma come, rischiare mentre tutto frana? Mentre qualcuno arriva a pensare persino a riti vudù su Trigoria? Sì. Se nei Governi di coalizione esistono i ministri senza portfafoglio, che pure determinano e siedono su potrone strategiche, Lorenzo Pellegrini è un capitano senza fascia di questa Roma, prima ancora di essere il nuovo Capitan Futuro. E ancor di più è una risorsa imprescindibile nell’idea di calcio di Fonseca, che forse è sfiorita quando è uscito di scena il suo miglior interprete in termini strategici. Lo dicono i numeri che ci aiuteranno per sostenere una tesi limpida. Il primo a mettere a nudo l’assenza in modo così conclamato è romano ma non è a Roma adesso, è un allenatore amico, tifoso, ma ora avversario. Claudio Ranieri è come se avesse acceso una lampadina. «Quella di Pellegrini è l’assenza più pesante, con lui il calcio di Fonseca è realizzabile, senza diventa complicato. E l’altro è Dzeko». Non quello coraggioso (purtroppo non oltre le intenzioni a Genova) con la maschera. Quello che ha ritrovato il sorriso riscegliendo la Roma, quando sembra l’Inter il suo destino. Certo, i due è in campo che hanno stretto l’amicizia poi portata anche fuori: uno innesca, l’altro va.
LA RINCORSA. Sarà che nella testa di Pellegrini è scoccata la scintilla anche per non far correre nemmeno un barlume di rischio alla Roma su un possibile nuovo rabbuiamento del suo amico Edin, gigante buono e bomber ritrovato? Sorridiamo, chissà. Di certo Lorenzo dal giorno dopo l’operazione ha cominciato a fare quello che gli era possibile fare ed è andato avanti così, lavorando due volte al giorno, piccoli passetti, un percorso costante, come l’idea di tornare che ora si è fatta più impellente nella sua testa. Il 29 settembre, al minuto 70’ la bandiera bianca alzata quando la Roma già vince 1-0 con il Lecce. Due giorni dopo l’intervento di sintesi della frattura del quinto metatarso destro e da lì i tempi fissati in due mesi. Il calendario scorso velocemente, undici partite strappate come undici fogli attraversando la sosta azzurra di novembre e un rientro progettato così: a Verona, il 1° dicembre, l’assaggio sostanzioso, il 6, Inter-Roma il ritorno a tempo pieno. Tutto questo sulla carta, il resto Pellegrini lo ha sempre pensato senza dirlo. Lunedì, un mese dopo, arriverà il consulto che dirà se l’osso si è sistemato. Avuta la risposta, Lorenzo capirà con i medici se la sua è solo follia. Nella testa, il ragazzo, ha un miracolo e un sogno: il miracolo sarebbe Parma-Roma 10 novembre (magari una comparsata nel finale), il sogno Roma-Brescia 24 novembre, dopo la sosta azzurra. Rubando due o tre partite al recupero. Gli diranno che rischi non se ne possono correre. Dovranno convincerlo bene.
LA VERITÀ DEI NUMERI. Che Pellegrini in campo porti gol perla Roma lo dicono le statistiche. Nelle 7 gare con lui la Roma ha fatto 13 reti (sarebbero 15, ma 2 delle 4 al Basaksehir li ha visti dalla panchina). Senza, i gol sono diventati 2 in 3 partite (uno è l’autogol di Cagliari, l’altro il gol rocambolesco di Spinazzola con il Wolfsberger) e la media è scesa a 0,66. Un terzo! Dietro i numeri, irrobustiti da 3 assist e un angolo per la testa di Cristante con il Sassuolo, c’è un modo di stare in campo, di leggere le situazioni, di aggredire lo spazio, di verticalizzare per il compagno piazzato. Questo è Lorenzo Pellegrini, Fonseca lo sa. E mentre attorno qualcuno si rialza, lui aspetta che a farlo sia il capitano senza fascia. Che a sua volta non aspetta altro. Dovranno convincerlo del contrario. Non ci riuscirebbe nemmeno la piccolissima Camilla, forse.