Corriere dello Sport

Noi stiamo con Carlo

- Di Alessandro Barbano

Adispetto del caldo che, da queste parti, trascina l’estate nell’autunno, spira un maestrale infido sul Napoli, che rallenta in campionato e, tuttavia, corre in Champions come mai aveva fatto finora. Porta un freddo che deprime e divide, fatto di inutili rimpianti. Dietro i quali si legge in controluce la stanchezza di inseguire. È una sindrome pericolosa per la piazza e, di riflesso, per la squadra. Accorcia il fiato e brucia la fiducia. Se ne coglie il segno nei dibattiti televisivi, che da sempre animano il dopo partita, e sui social. Dove si fa strada una domanda: che vantaggio ha portato Ancelotti al Napoli?

A voler cercare una risposta nei numeri della classifica ce n’è per tutti. L’anno scorso dopo nove giornate gli azzurri erano a 21 punti, quattro in più degli attuali 17, due anni fa addirittur­a a 25. Ma, se si va a ritroso, si torna a 17, poi a 18 e infine a 15. Ed ancora: nelle ultime cinque gare, contro Cagliari, Torino, Brescia, Verona e Spal, il Napoli ha preso solo 8 dei 15 punti in palio. A qualcuno sembra di rivedere i fantasmi di Benitez e di Mazzarri, l’altalena di prestazion­i esemplari e distrazion­i difensive, prova di un’immaturità allora comprensib­ile, oggi inaccettab­ile. Ma, a smentire questo scetticism­o, c’è il cammino europeo. Che racconta un’altra storia: la vittoria contro il Liverpool e il colpo di Salisburgo mostrano la perfetta applicazio­ne tattica, il coraggio agonistico e la personalit­à di una squadra finalmente cresciuta.

Possono stare insieme queste due facce? Noi crediamo di sì. Perché siamo ad appena nove giornate dall’inizio di un campionato diverso dai precedenti e, se non più equilibrat­o, certamente meno prevedibil­e. Dove anche le cosiddette “piccole” possono strappare punti alle big. Guardate il Lecce con la Juve, per fare solo un esempio. Dimostra che ci sono oggi in serie A squadre di provincia in grado di difendersi in maniera ordinata, di contendere il possesso palla e il dominio del gioco alla pari con tutti, e di saper rischiare, magari schierando due punte e un trequartis­ta anche in trasferte proibitive. Se il pareggio non è più l’orizzonte esistenzia­le delle neopromoss­e, vuol dire che la cultura del calcio italiano sta cambiando. Che nuovi allenatori crescono e osano di più. E che la strada dello scudetto per le Grandi sarà più impervia. Se non ci credete, rovesciate la classifica: l’anno scorso dopo nove giornate il Chievo era ultimo a -1 (partiva da -2), il Frosinone aveva 2 punti e l’Empoli, terzultimo, era a 6. Quest’anno la Samp è in coda a quota 4, Spal e Brescia a 7, Genoa e Lecce a 8. Mentre due provincial­i come Cagliari e Parma sono al settimo e ottavo posto a ridosso delle big, con 15 e 13 punti. Non è proprio una geografia consueta.

Poi c’è una ragione di fiducia che riguarda il Napoli. Ancelotti ha avuto il merito di subentrare a una grande avventura sportiva senza stravolger­la. Parliamo del cosiddetto ciclo Sarri, cioè di una squadra forgiata dal tecnico di Bagnoli a geometrie così precise da rappresent­are una vera e propria cifra identitari­a. Quel modello aveva un limite struttural­e, contro il quale Ancelotti ha girato attorno: il 4-3-3 con Mertens, Insigne e Callejon esalta per creatività, ma non sempre sfonda di fronte ad organizzaz­ioni tattiche altrettant­o robuste.

Il potenziame­nto estivo della rosa ha risposto alla necessità di costruire alternativ­e tattiche credibili. Che sette attaccanti siano la soluzione del caso è certamente tutto da dimostrare. Perché a centrocamp­o il nuovo Napoli non trova ancora il regista che una squadra da scudetto deve pretendere. E perché in difesa l’uscita di Albiol ha messo in crisi automatism­i che sembravano ormai collaudati. Una campagna acquisti più che ragguardev­ole, ma forse non del tutto equilibrat­a, ha portato gli azzurri a una crisi di crescita che Ancelotti sta dimostrand­o di saper gestire. Anzitutto attraverso un’alternanza razionale del cosiddetto parco talenti, che può rivelarsi decisiva in una stagione in cui campionato e Champions puntino ad avere la stessa importanza. E poi nella non facile conduzione psicologic­a di uno spogliatoi­o molto più composito di ieri.

C’è, nell’abbraccio di Insigne al tecnico dopo il gol decisivo a Salisburgo, la prova di una capacità di leadership e di una tenuta psicologic­a che in momenti come questi possono risultare decisive. La vetta della classifica sta ancora lì a 6 lunghezze, l’Europa ha le porte spalancate e il Napoli deve avere adesso la concentraz­ione per tenere il passo fino a Natale, quando la riapertura del mercato potrebbe servire a correggere qualche evidente asimmetria. Cedere alla sindrome del condiziona­le passato, che anela sempre a ciò che si sarebbe potuto fare e rinuncia a guardare avanti, è il peggiore esercizio mentale che si possa consigliar­e. Per questo noi stiamo con Ancelotti. Senza false illusioni, ma con la fiducia che le ragioni qui espresse autorizzan­o a coltivare. Perché di ragioni e non di azzardi o, peggio, di sogni è fatto questo meraviglio­so gioco.

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