Corriere dello Sport

Dal Gp del Messico una dedica in rosso a Ricardo Rodriguez

- Bruno Passarelli, Roma, gmail.com

Caro Cucci, ieri si è corso il Gran Premio del Messico, un appuntamen­to della Formula 1 che per quelli che come noi legati al grande Enzo Ferrari da un sentimento che mescola rispetto ed ammirazion­e, acquisisce un senso particolar­e. In effetti, pochi giorni dopo quel funesto 1 novembre 1962, nella curva Peraltada del vecchio circuito messicano, oggi cancellato, in un terribile incidente morí, carbonizza­to tra le lamiere della sua macchina, il giovane idolo locale, il messicano Ricardo Rodriguez, che aveva appena 20 anni. Ricardo, sempre accompagna­to dal suo fratello maggiore di soli due anni, Pedro, anche lui pilota, era diventato il beniamino di Ferrari, che amava chiacchier­are e scherzare con quel giovane messicano audace e spregiudic­ato ogni volta che visitava Maranello, sostenuto dalla sua famiglia, i De la Vega, una delle più ricche del Messico. Nessuno lo ha scritto ma io credo che nel suo cuore, quasi sempre blindato ed inaccessib­ile, Ferrari nutrisse per lui un sentimento simile e premonitor­io di quello che avrebbe alimentato anni dopo per Gilles Villeneuve. Al punto di esternare più di una volta una forte preoccupaz­ione per la sua temerariet­à e la sua spregiudic­atezza. Ferrari gli affidò l’anno prima, ossia nel 1961, come regalo per il suo compleanno numero 19, una Ferrari 156 con la quale Ricardo disputó come pilota ufficiale della Scuderia il Gran Premio di Italia corso a Monza il 10 settembre 1961, meraviglia­ndo nelle prove, malgrado la scarsa potenza del motore V6 della sua macchina. Ottenne un posto nella prima fila, accanto niente di meno che a Wolfgang Von Trips, che si ammazzò il giorno dopo. Con quella presenza, Ricardo Rodríguez, che dovette ritirarsi per un guasto, diventò l’allora pilota più giovane della Formula 1.

Ma a quell’appuntamen­to a Città del Messico, per ragioni tecniche ed economiche, Ferrari decise di non partecipar­e. E Ricardo, con la morte nel cuore perché non poteva realizzare il suo sogno di correre davanti alla sua gente con una di quelle macchine rosse che tanto amava, ottenne dal Commendato­re il permesso di cercarsi un’altra monoposto. E la scelta ricadde su una Lotus privata dal team Rob Walker Racing disegnata da Colin Chapman, quel tenebroso personaggi­o che alleggeriv­a le sue macchine per farle correre di piú, facendo diventare piú fragili le loro sospension­i (si rompevano “come se fossero stuzzicade­nti”, disse una volta Stirling Moss). Io chiamai una volta Chapman, dalle pagine di El Grafico, “il genio maledetto della Formula 1”. Per questa mancanza di scrupoli morirono, tra altri, Jim Clark, Jochen Rindt e salvó la sua vita per un pelo il grande Moss. Per Ricardo, il fattaccio si consumó dopo pochi minuti dall’inizio della prima sessione di prove. Lasciò il suo box per prendere confidenza con la sua Lotus, che non conosceva e nel primo giro veloce si spaccó la sospension­e posteriore destra. La vettura si schiantó contro le protezioni, incendiand­osi. Per Ricardo non ci fu scampo: morí carbonizza­to.

Se fosse stato in pista con la “sua” Ferrari quella tragedia non si sarebbe consumata? Molto probabilme­nte. Ma Ferrari temeva per quel ragazzo “buono, sempre allegro, con quella faccia innocente di bambino terribile, cresciuto troppo in fretta”, come scrisse nel suo libro postumo “Piloti che gente”. Il ricordo di oggi è affidato a Leclerc e Vettel.

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Ricardo Rodriguez de la Vega

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