Io, il Muro e le vite degli altri consumate dal doping di Stato
Arrivammo a Berlino Ovest un giorno di primavera del 1969 dopo un lungo viaggio in treno da Cassino fino ad Hannover e da lì con un volo della Pan Am, l’ex compagnia aerea degli Stati Uniti che con Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica si spartiva il controllo della parte occidentale della città. Eravamo giovani atleti dell’Atletica Cassino.
Quel tempo, quell’atmosfera, quel mondo. 9 novembre 1989, cade il Muro di Berlino. Dopo ventotto anni il puzzle della geografia mondiale va a pezzi. Quel giorno, verso sera. Un portavoce del governo dichiara che i tedeschi dell’est sono liberi di recarsi in Germania Ovest. I giornalisti increduli gli chiedono: quando? Lui risponde: «Anche subito».
A Berlino i tedeschi si radunano a frotte ai posti di blocco, la situazione diventa presto insostenibile. Ci siamo, è un mese che nelle manifestazioni si invocano democrazia e libertà. E’ un quadro che si stacca dalla parete. Stock.
Ma cos’è che fa decidere a un chiodo - così, all’improvviso - che non ne può più?
LA COSTRUZIONE. Un passo indietro: fine della seconda guerra mondiale, a Yalta i leader del mondo (Roosevelt, Stalin e Churchill) decidono cosa fare una volta sconfitti i nazisti. Berlino viene divisa in quattro settori, su ognuno sventola una bandiera diversa: Regno Unito, Urss, Stati Uniti e Francia. La Germania viene divisa in due: da una parte la BRD (Repubblica Federale Tedesca), dall’altra - nelle zone di occupazione sovietica - la DDR (Repubblica Democratica Tedesca). Dal 1949 al 1961 fuggono dall’Est verso Ovest più di 2,6 milioni di tedeschi. Fermi tutti. Bisogna fare qualcosa per bloccare l’emorragia. A cavallo tra il 12 e 13 agosto del 1961 viene costruito il Muro di Berlino, in una sola notte: 300 torrette di guardia, recinzione di filo spinato lunte
go 155 km. Nome ufficiale: barriera di protezione antifascista. Negli anni verrà rinforzato un paio di volte.
Il Muro di quarta generazione - quello che vive nel nostro immaginario collettivo - viene (ri) costruito nel 1975. E’ in cemento armato, alto 3,60 metri. E poi: bunker di osservazione, barriere anticarro, pannelli paravista. Dunque: 1961-1989. Ventotto anni di muro. Oltre 5000 i tedeschi riescono a fuggire, 3000 le persone arrestate, 136 i morti.
Si scappa da Berlino Est di corsa, scalando la barriera di cemento, saltando il filo spinato, schivando le pallottole, approfittando di una distrazione di un soldato o corrompendolo; ma anche con modalità cinematografiche: in mongolfiera, sulla fune, con un treno lanciato a tutta velocità su un binario abbandonato, nascondendosi dentro il portabagagli di una Trabant, con un’immersione nelle acque del fiume Sprea. Si scappa, punto e basta. Luogo simbolo, il Check Point Charlie, il posto di blocco più famoso del mondo, tra il mondo sovietico e quello americano, tra Comunismo e Capitalismo.
LA FINE DI TUTTO. E’ il 9 novembre 1989 quando il chiodo si stacca dalla parete. E’ un giorno di festa, le Trabant in fila scoppiettano di gioia. I Vopos, i poliziotti, hanno ricevuto l’ordine di sorridere. I grandi magazzini KaDeWe vengono presi d’assalto. Merci più richieste: frutta fresca, gingilli da pornoshop. Nei giorni successivi il Muro viene rimosso, offeso, violentato, perso a calci. La gente esce di casa col martello in mano, è la rivoluzione a colpi secchi, tonfi, echi violenti della Storia. Il crollo del Muro trascinerà con sé altri regimi dell’est. Dalla Cecoslovacchia alla Romania, c’è un mondo che sfarina, perde vecchie identità e ne acquista di nuove in saldo.
Dal 1990 la Germania è riunita, in questi trent’anni Berlino si è rifatta il look, è una città favolosa che corre verso il futuro, dalle grandi finestre degli uffici di Postdamer Platz il cielo sopra Berlino è sempre carico di nuvole, suggestioni e nostalgie. Oggi i picchi del Muro - le famose «Mauerspechte» - sono souvenir venduti alle bancarelle, con una manciata di euro ti porti a casa una scheggia di un mondo che non c’è più.
Dal 1961 chi può scappa: 5000 in fuga, 136 morti, 3000 arrestati