C’ERA UNA VOLTA IL MURO
La testimonianza di Franco Fava: la percezione a Berlino Est di un’esistenza grigia e lenta, su cui solo dopo il 9 novembre 1989 si sarebbe scoperta la verità Cadde trent’anni fa e il mondo non fu più lo stesso Come lo sport. Dalle macerie della Germania
Arrivammo a Berlino Ovest un giorno di primavera del 1969 dopo un lungo viaggio in treno da Cassino fino ad Hannover e da lì con un volo della Pan Am, l'ex compagnia aerea degli Stati Uniti che con Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica (le nazioni uscite vittoriose dalla II Guerra Mondiale) si spartiva il controllo della parte occidentale della città. Eravamo giovani atleti dell'Atletica Cassino. L'occasione della trasferta il gemellaggio con il Club Zehlendorf 88. Il clou un incontro di atletica nello stadio Olimpico del 1936.
La famiglia che mi ospitò aveva il giardino confinante con la prima rete che delimitava la “terra di nessuno”, così veniva definita la zona al di qua e al di là del Muro. Quel muro eretto in fretta e furia appena otto anni prima, nella notte tra il 12 e 13 agosto del 1961. Che per ventotto anni, con i suoi 155 chilometri di cemento e filo spinato, avrebbe diviso le vite e spezzato i sogni di migliaia di tedeschi. Diviso la città in Berlino Ovest e Berlino Est, con la prima trasformata in un'isola imprigionata all'interno della Repubblica Democratica Tedesca. Fu quel giorno di mezzo secolo fa che noi ragazzi cresciuti nella Città Martire, alle pendici di Montecassino, perdemmo l'innocenza alla vista, seppure approssimativa, dei ritmi tristi e lenti e grigi della Berlino Est che si potevano catturare salendo sulle torrette d'osservazione che sovrastavano il Muro.
TANTI NUOVI MURI. Il nostro mondo celebra oggi i trent’anni dalla caduta di quel muro. Del muro della vergogna. Fa niente se oggi sono altri, e tanti purtroppo, i muri sorti nel frattempo all'interno e ai confini dell'Europa. La caduta del Muro di Berlino - cui ha fatto seguito la difficile riunificazione della Ddr alla Repubblica Federale tedesca con la frantumazione della Cortina di Ferro e dell'ex Impero Sovietico - ha segnato a lungo anche la storia sportiva mondiale della seconda metà del secolo scorso.
Prima indicata come modello dell'eccellenza sportiva e poi come fucina di campioni allevati a pane e doping, la Ddr è stata per almeno per un ventennio una straordinaria macchina di medaglie e record con i suoi scarsi 17 milioni di abitanti: in tre edizioni delle Olimpiadi (Montreal 1976, Mosca 1980 e Seul 1988)
la Germania Est è stata seconda nel medagliere solo all'Unione Sovietica. Due le date simbolo del successo sportivo degli atleti della Ddr: i Giochi di Città del Messico 1968 e i Giochi di Seul 1988, l'ultima edizione in cui sventolò negli stadi la bandiera con martello e compasso racchiusi da due fasci di segale. Dalla costituzione del comitato olimpico nazionale (il 22 aprile 1951), la Ddr conquistò in 32 anni la bellezza di 563 medaglie tra Giochi estivi e invernali, di cui 202 d'oro.
VITE COSTRUITE. Record e medaglie come macchina di propaganda del regime comunista di Erick Honecker. Lipsia e Dresda i principali centri sportivi del Paese in cui vennero costruite le scellerate vite agonistiche di 10.000 atleti d'élite. Un sistema in cui non mancavano attrezzature adeguate e allenatori tecnicamente all'aMa anche un sistema controllato dalla famigerata Stasi attraverso una fitta rete di spie. E tanto doping di Stato. Marita Koech, Kornelia Ender, Katarina Witt, Kristin Otto, Heike Drechsler, Gerdo Bonk, sono solo alcuni dei nomi altisonanti che hanno legato le loro imprese a quel sistema scellerato. Una lunga lista in cui spicca anche Katrin Krabbe, l'ex sprinter dell'Est che fu la prima ad assurgere a reginetta della Germania riunificata, ma fu subito travolta da un duplice caso doping all'indomani del doppio titolo iridato a Tokyo 1991, due anni dopo la caduta del Muro.
«L'amplesso è avvenuto tra le 20 e le 20:10», scrive in “I miei anni fra il dovere e la scelta” KaWitt, la due volte campionessa olimpica di pattinaggio a Sarajevo 1984 e Calgary 1988. Con quel libro Katarina fu una delle prime icone sportive targate Ddr a vuotare il sacco, svelando le migliaia di pagine che la Stasi le aveva riservato fin da quando era una semplice promessa. Il controllo capillare degli atleti, giorno e notte, da parvanguardia. della polizia segreta. E quelle bombe chimiche che venivano regolarmente somministrate agli atleti privati del libero arbitrio e spesso trattati come cavie.
PILLOLA ANABOLIZZANTE. Si chiamava Oral-Turinabol, il farmaco maledetto a base di steroide anabolizzante androgeno. La pillola blu prodotta dalla casa farmatarina
Fu una macchina di medaglie per 20 anni Seconda solo all’Urss in tre Olimpiadi
Cinque tonnellate di pillole blu negli anni del boom. E Heidi divenne Andreas
ceutica Jenapharm fin dagli anni Sessanta, la cui produzione annua toccò le cinque tonnellate nel periodo del boom sportivo. Che gli atleti, soprattutto donne e spesso ancora minorenni, assumevamo giornalmente come fossero caramelle. Del resto i primi sommari controlli antidoping sugli anabolizzanti furono introdotti solo a Città del Messico 1968.
Nonostante la distruzione di un gran numero di documenti della Stasi poco prima del 9 novembre 1989, i tribunali tedeschi hanno potuto ricostruire le aberrazioni di quel sistema e i danni prodotti sulle vite di tanti atleti. Nel 2006 il governo tedesco varò una legge che impose il risarcimento alle vittime del doping, cui vennero riconosciuti 8.000 euro a testa.
Tra queste anche Heidi Krieger, la pesista campionessa europea nel 1986. Il suo fu il caso più emblematico di quel periodo: dopo seri problemi psichici al termine della carriera iniziò a sviluppare tratti maschili e nel 1997 Heidi divenne Andreas. Dopo il cambio di sesso ha sposato l'ex nuotatrice Ute Krause.