«Ma i rapporti fanno la differenza»
Il caso Armini riapre il dibattito sulla normativa che regola il rapporto tra i giovani e i club. Nel momento in cui un giocatore compie 16 anni, la società di appartenenza può fargli firmare il primo contratto da professionista, della durata massima di tre anni. L'articolo di riferimento è il 33 NOIF rubricato "giovani di serie" e lo specifica chiaramente. A livello consuetudinario e però prevista una possibilità (seppur non tutelata legalmente) di inserire un'opzione per i successivi due anni. Si tratta solo di un accordo verbale, magari una scrittura privata, dal valore nullo in sede legale. Una sorta di "patto tra gentiluomini", il cui rispetto è vincolato solo dalla scelta delle parti in questione: «Il tema - spiega l'avvocato Cesare Di Cintio, esperto di diritto sportivo - è semplice. Il giocatore minorenne ma almeno sedicenne può sottoscrivere un contratto da professionista, che è un contratto di lavoro subordinato. Questo può avere la durata massima di tre anni e questa è da un lato la tutela che viene data alla società, perché altrimenti dopo i 16 anni il giocatore potrebbe trasferirsi all'estero e la società non avrebbe la tutela di trattenere il giocatore senza alcun vincolo, se non col pagamento del “Training Compensation” da parte del club estero. Dopo i 18 anni invece i giocatori possono sottoscrivere contratti di una durata quinquennale, che è quella massima. Le norme sono queste: qualsiasi altra pattuizione che possa derogare alla durata massima del contratto del minorenne che è triennale, è nulla».
TUTELA. Un accordo che era stato raggiunto, in teoria, per trovare un compromesso tra le esigenze dei club e quelle dei giocatori "giovani di serie": «Questa normativa - continua l'avvocato - è dal mio punto di vista una tutela bilanciata: da un lato tutela appunto la società, che può mettere a contratto un giocatore appena compiuti i 16 anni, dall'altra però tutela il giocatore. Perché la società non può fare un contratto subito troppo lungo senza fare un investimento adeguato, perché la crescita del giocatore è una crescita che non è preventivabile dai 16 ai 18 anni. Il triennale dunque è la giusta ratio che bilancia entrambe le parte. E' chiaro che poi a far la differenza siano sempre i rapporti: il giocatore che vuole permanere in una determinata società può sottoscrivere dopo un contratto più lungo. Ma qui si esce dalla dinamica del diritto e si entra in quella della gestione del giocatore, da parte di chi assiste il giocatore e della società».
Di Cintio spiega: «La norma attuale è una tutela per entrambe le parti»