IL CORAGGIO DEL MANCIO
Le 10 vittorie di fila, i 52 giocatori utilizzati, un Paese tornato ad amare la Nazionale: ecco come il tecnico ha cancellato la vergogna “mondiale”
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Quanti sono due anni nel mondo del calcio? Un’eternità, in genere, dato che spesso bastano un paio di settimane andate storte per rimettere in discussione qualsiasi giudizio consolidato. Ma qui non è questione di fare filosofia. Piuttosto, semplicemente, di prendere atto di un processo in essere, ovvero del miglior rimbalzo possibile dopo il crollo del titolo azzurro, avvenuto il 13 novembre 2017. La vittoria rotonda nella sostanza e non solo nei numeri della Nazionale, venerdì a Zenica, è stata ovviamente celebrata in modo doveroso. Non foss’altro per il valore di quel 3-0 alla Bosnia di Dzeko e Pjanic da parte della banda Mancini. Si è trattato come è noto del decimo successo di fila, una striscia mai verificatasi nei quasi 110 anni di storia della Nazionale, a suggello di una qualificazione ottenuta con largo anticipo, rafforzata dal ritorno dell’Italia nell’urna delle teste di serie in un sorteggio Uefa. Al di là del “quanto” è piaciuto il “come” l’Italia ha cercato e voluto centrare questo traguardo: per sé, per la gente e soprattutto per Roberto Mancini. Già, Mancini. Non c’è ormai intervista di giocatore in cui il ct non sia indicato come il vero artefice di questa Rinascita. Da Bonucci all’ultimo debuttante arrivano per lui affermazione di sincera ammirazione. Che lui continua a gestire con una maturità e un equilibrio che appaiono l’antidoto migliore all’eccesso di trionfalismo in agguato.
LA STRADA. La quieta rivoluzione manciniana non è frutto di improvvisazione. Né questo ct appartiene al partito dei massimalisti della panchina. Il suo lavoro, in questo anno e mezzo di lavoro a Coverciano ha seguito il più canonico di cronoprogrammi: ampia selezione di azzurrabili e significativo impiego selettivo. I numeri parlano di 64 giocatori convocati, di cui 52 mandati in campo (80%). Se è vero che ormai in serie A i calciatori convocabili che giocano sono un centinaio (il 35% del totale) significa che Mancini ha lasciato fuori solo un terzo della sua “materia prima”. La cifra di questo commissario tecnico, sotto questo aspetto, è però senza dubbio quella di aver cercato di dare anima e fiducia a un progetto a medio periodo, con prospettiva Qatar 2022, basato sul coinvolgimento dei giovani talenti emergenti, condivisi in parte con l’Under 21. Nelle sue 18 partite Mancini ha fatto debuttare 22 azzurri, da Politano contro l’Arabia a Castrovilli e Gollini contro la Bosnia, ovvero il 42% di quelli che sono scesi in campo. Numeri che valgono molto, non solo per la Nazionale ma anche per l’intero movimento. Così il necessario ringiovanimento ha conosciuto una lunga stagione di successi. A Zenica l’Italia titolare aveva un’età media di 26 anni, 3 mesi e 18 giorni. Quella eliminata dalla Svezia due anni fa viaggiava a quota 30 anni, 8 mesi e 15 giorni. Più o meno il livello lasciato da Antonio Conte a Euro 2016, dove giocò la Nazionale con l’età media più alta di sempre. Questo senza compiere epurazioni totali: al Bilino Polje c’erano pur sempre una decina di reduci della notte nera del Meazza. Insomma, Mancini sta brillantemente riuscendo a compiere una svolta che potrebbe diventare davvero storica.
Da Bonucci all’ultimo debuttante, tutti elogiano la linea tenuta dal tecnico