STRAMILIK RITORNO AL FUTURO
Clima surreale, facile quaterna al Genk Gran tripletta del bomber polacco nel primo tempo, chiude Mertens Il Napoli era in serie-no da 9 gare
Dov’è l’errore in questa notte dolce e però perfida, esaltante e persino malinconica? La partita più buffa e beffarda che Napoli ricordi è struggente nella sua tristezza, surreale nell’atmosfera di un’ora e mezza in cui i sentimenti si aggrovigliano, perché è tutto scritto in quest’orizzonte in cui il destino sceglie di intromettersi e di concedere a Carlo Ancelotti di uscire con fierezza da uno stadio che ora sta lì ad applaudirlo. La standing ovation sa di commiato e la tribuna che urla «Carlo, Carlo» diviene la colonna sonora che avvolge il san Paolo, trasformato in un teatro dell’assurdo.
CHE STRANO. Napoli-Genk è calcio però è anche romanticamente altro, mentre stanno per sfilare i titoli di coda su una storia stroncata così, maldestramente, senza tatto, lasciando che Ancelotti sfili via da questo «mondo» che improvvisamente ha scoperto gli appartenesse più di quanto sospettasse: la Champions, gli ottavi, saranno di Rino Gattuso, che planerà oggi sulla panchina di chi gli è stato «padre putativo» e «maestro di vita», cogliendo il senso doloroso di un distacco proprio quando il Napoli
è tornato ad appartenere al proprio ideatore. 4-0 contro il modesto Genk, portando via al Liverpool, i campioni d’Europa in carica, quattro punti, lasciando il sospetto che questa sia una sconfitta per tutti.
CHE FORZA! Il Napoli di Ancelotti è in quell’Allan - strepitoso - ed in quel Milik sul quale l’allenatore aveva puntato e dei quali aveva dovuto fare a meno: il mediano si prende la partita, la strapazza, sfila via dal San Paolo proprio al fianco del tecnico, che sembra si congedi, salutando tutti, proprio quando lo stadio gli dimostra il proprio affetto. Ma ci sono anche Di Lorenzo che va, Zielinski che è padrone delle situazioni, dinnanzi al signore della Champions che può cogliere questa lieve evoluzione, non spettacolare ma rassicurante.
DOMINIO. E Napoli-Genk (che segna il ritorno alla vittoria dopo nove partite) diviene persino secondaria, anche se è piena di tante cose: della straripante presenza di Milik (il primo azzurro a segnare una tripletta in Champions), del palo di Koulibaly dopo 2’, del debutto del diciannovenne Gaetano, al quale Ancelotti concede il debutto tra i «grandi», della panchina sui novanta minuti per Insigne, e non è una scelta insignificante, per ciò che quella squadra mostra, quasi in scioltezza. Sarebbe stata una festa, altrove, per essere riuscito a prendersi il passaporto per gli ottavi, alla quale magari avrebbe partecipato pure un blando Mertens, ormai però a tre reti da Hamsik, grazie all’esecuzione dagli undici metri concessagli dall’irruzione di Callejon, lui sì su livelli abituali e in grado di strappare due rigori ma anche di interpretare a modo suo quel ruolo scomodo del maratoneta di destra. E poi ci sarebbero le certezze, che emergono da una serata imbarazzante nel suo incedere, la capacità di essere squadra (ancora) in Champions che stride con tutto ciò che emerge dal campionato, con quel che s’avverte nell’aria mentre Ancelotti saluta il san Paolo e intorno si coglie la tristezza.