«CHE BELLA LA MIA VITA È TUTTA IN SALITA!»
Parla Laura Rogora, la giovanissima azzurra già ammessa a Tokyo 2020 Figlia d’arte, ha cominciato a 4 anni e a 16 ha “liberato” una via 9a «La prima volta ho avuto paura, ma appena a terra volevo rifarlo»
«L a prima sensazione che ricordo dopo un’arrampicata? Paura. Non volevo lasciarmi andare in discesa, ero terrorizzata. Appena ho toccato terra però ho voluto subito ricominciare, perché mi ero divertita tantissimo…».
Laura Rogora ha 18 anni, è alta un metro e 50, pesa 40 chili, e di mestiere arrampica sogni. Il più recente ha i contorni dell’Olimpiade di Tokyo, per cui ha staccato il biglietto a fine novembre nel torneo di qualificazione di Tolosa. Ad agosto c’era riuscito Ludovico Fossali, e i due sono l’avanguardia di un movimento, quello dell’arrampicata sportiva, che in Italia conta circa 40.000 tesserati, divisi in 300 società, ma un numero di appassionati dieci volte superiore.
Tokyo sarà la prima volta a cinque cerchi per uno sport giovane, che si pratica sia su roccia sia in palestra ed è diviso in tre specialità - speed, lead e boulder - che esaltano doti di velocità, abilità, forza e resistenza. Laura, a Tokyo anche grazie a lei ci innamoreremo tutti dell’arrampicata?
«Credo di sì, perché tanta gente si fa prendere anche solo guardando un filmato. Fra le tre specialità la speed è la più veloce e facile da capire, c’è un percorso fisso da completare in pochi secondi. Le gare sono molto intense, è facile sbagliare, basta un piede fuori posto e comprometti tutto, serve una concentrazione assoluta. Anche il boulder offre gesti spettacolari, ma è meno rapido, circa cinque minuti per atleta».
Lei come si è appassionata? «Mio padre (Enrico, professore di matematica alla Sapienza di Roma; ndr) era socio Cai e arrampicava, così ha iniziato a portare anche me e mia sorella. Avevo quattro anni. All’inizio su roccia, scegliendo vie molto facili, a Sperlonga, sul Circeo, o sui monti Ernici vicino a Frosinone. Poi abbiamo trovato una palestra vicino casa a Roma, la Climbing Side. Facevo anche ginnastica artistica, ma verso i sei anni ho deciso che l’arrampicata mi piaceva di più e mi sono dedicata solo a quella».
Che qualità servono per eccellere? Oltre a saper vincere la paura…
«Dipende dalle specialità. Nella speed e nel boulder conta più la forza esplosiva, e nel boulder anche la coordinazione. Nel lead invece è più importante la resistenza e la capacità di recupero».
Il suo punto forte?
«La resistenza».
Meglio la roccia o la palestra? «A me la roccia piace, perché lì la competizione è più che altro contro te stesso e non c’è lo stress della gara. Ci vado per divertirmi insieme con gli amici. Poi sento molto il contatto con la natura, anche da piccola mi piaceva fare tante passeggiate, e arrampicando capita di vedere paesaggi straordinari. Le questioni che riguardano l’ambiente mi interessano, mi tengo informata. Ma ad attirarmi è soprattutto la palestra…». L’adrenalina, l’agonismo, la sfida. A che età è meglio iniziare? «Non c’è un’età “giusta”, diciamo che prima è meglio è. E’ uno sport che si può praticare a lungo: quest’anno in Coppa del Mondo ha vinto una quindicenne, ma ci sono atleti che hanno ottenuto ottimi risultati quasi a 40 anni. Molto dipende anche dal fisico, ci sono climber più facili agli infortuni e altri meno e anche questo conta». Lei a 16 anni è stata la prima italiana a “liberare” una via 9a (nell’arrampicata il massimo di difficoltà è la 9c; ndr) la “Grandi Gesti” a Sperlonga: quando ha capito di essere davvero forte? «A 13 anni, quando ho iniziato a partecipare alle gare giovanili internazionali. Alla prima qualifica di Coppa Europa sono arrivata prima e mi sono detta che potevo farcela davvero, anche se poi la finale non è andata benissimo».
Le imprese di “Manolo”, al secolo Maurizio Zanolla, la prima stella del free climbing italiano, fra anni Ottanta e Novanta hanno fatto conoscere questa disciplina. Manolo però non gareggiava. Oggi fra sponsor e montepremi l’arrampicata è uno sport interessante anche economicamente?
«Gli sponsor ci sono, ma al momento non penso al lato economico. Faccio parte delle Fiamme Oro, sono loro che sostengono la mia attività».
«Preferisco arrampicarmi in palestra, anche se c’è competizione e hai più stress. In roccia vado con gli amici a divertirmi»
«Il mio punto forte è la resistenza, ma le gare più divertenti e facili da capire sono quelle di velocità: sbagli una volta e hai perso»
Per scalare s’è trasferita da Roma a Trento, dove studia matematica. «Le equazioni allenano a risolvere i problemi che pone la parete»
Di sicuro riesce a conciliare sport e studio: la maturità l’ha superata con 100/100. Come va all’Università?
«Bene, sono al primo anno di matematica a Trento, dove mi sono trasferita insieme a mia sorella che invece studia fisica. In matematica sono sempre andata bene, poi risolvere equazioni è anche un allenamento per i problemi che devi risolvere in fretta quando sei in parete» La componente mentale è importantissima: si fa seguire da un mental coach?
«No, anche se bisogna imparare a gestire la tensione, che non deve essere troppa ma nemmeno troppo poca, a volte mi faccio prendere dall’ansia. Il migliore allenamento resta quello di fare tante gare: alla fine ti abitui a canalizzare la tensione e trasformarla in forza» Quali sono le nazioni guida dell’arrampica sportiva?
«Il Giappone, che non ha una grande tradizione nell’alpinismo, a Tokyo però ci sono moltissime palestre e da lì nasce il loro movimento, mentre in Europa siamo più legati alla tradizione della roccia. Poi Slovenia, Francia e Austria».
Bardonecchia, nel 2020 la disciplina debutterà ai Giochi di Tokyo. E’ divisa in tre specialità: “lead” (difficoltà), che richiede di scalare difficoltà sempre più elevate sino al limite estremo, ad ogni passaggio corrisponde un punteggio e quello massimo si ha toccando con entrambe le mani l’ultima presa (top); “speed” (velocità), che consiste nel completare un percorso standard di difficoltà medio/bassa (1015 metri) nel minor tempo possibile (il record del mondo è 5”48); “boulder” (masso), il cui scopo è raggiungere una presa finale (top) e tenerla per almeno 3” nel minor numero di tentativi partendo da quattro appoggi fissi e utilizzando una serie limitata di movimenti su pareti basse (max 4 metri) senza imbragatura.