CARLO PASSA E CHIUDE
L’avventura di Carlo a Napoli termina con il 4-0 al Genk e la tripletta di Milik La cena con De Laurentiis sancisce l’addio del tecnico: nella notte la nota che annuncia l’esonero
Conquistare per la terza volta nella storia, e da imbattuti, gli ottavi di Champions, entrando così tra i primi 16 d’Europa, e vedere inquadrati De Laurentiis e Ancelotti che sembrano appena rientrati dal funerale del gatto di casa.
Fin troppo facile definirla così: l’ultima cena. Cin cin e poi l’esonero. Alle 23.38 è arrivata la nota ufficiale del Napoli: «La Società Sportiva Calcio Napoli ha deciso di revocare l’incarico di responsabile tecnico della prima squadra al signor Carlo Ancelotti. Rimangono intatti i rapporti di amicizia, stima e rispetto reciproco tra la società, il suo presidente Aurelio De Laurentiis e Carlo Ancelotti». Beviamoci su. Salute, cin-cin: De Laurentiis e Carletto, faccia a faccia, ieri sera dopo la partita con il Genk. All’Hotel Vesuvio, sul lungomare. La cena, appunto, voluta e organizzata dal presidente: e non una di quelle andate in scena nell’ultimo anno e mezzo, magari a Capri, dove si parlava di presente e di futuro, piuttosto un bilancio, un resoconto, una linea definitiva.
Anche se Ancelotti aveva tentato di rinviare confronto finale e decisioni al suo domani, cioè a oggi: «Vedrò De Laurentiis, valuteremo e prenderemo le giuste decisioni per il Napoli. Ora sono sulla panchina, spero di esserlo anche nella prossima partita». Non sarà così.
LA DECISIONE. Poche parole anche nello spogliatoio, subito dopo la partita: clima teso, aria pesante, sensi di colpa. Già, perché i giocatori sanno perfettamente di aver avuto una gran fetta di responsabilità, in questo epilogo così amaro e quasi paradossale alla luce di un 4-0 che però lascia intatto il ribaltone. Ma tant’è: e non è un caso che in molti, dopo la partita e prima della doccia, abbiano pianto. Ancelotti naturalmente no, o forse lo ha nascosto benissimo. Anche dietro un gesto di saluto rivolto alla folla e agli individui. «Non stavo salutando i tifosi, stavo salutando mia moglie».
«NON MI DIMETTO». Le cose che non si possono dire, né si vogliono dire, si leggono negli sguardi, si afferrano nei silenzi, si colgono nella espressione sempre elegante di un uomo che sa bene di essere appeso ad un filo: «Deciderà De Laurentiis quale sia la soluzione giusta per il Napoli. Io non mi dimetto, non l’ho mai fatto in vita mia e non lo farò ora». E’ la notte (tormentata) di Carlo Ancelotti, che sorride (però amaramente) perché sa, prima di lasciare il San Paolo, che il suo tempo a Napoli sta per scadere da lì a poche ore. «Ma soltanto chi passa il turno può vincere la Champions League. E’ stato un girone gestito bene, giocato con coraggio. Abbiamo meritato di passare e non era facile. La squadra è stata attenta ed efficace, non ancora sciolta. E abbiamo sfruttato bene il rientro di Milik».
LE LACRIME. Saranno gli ottavi di finale conquistati da Carlo Ancelotti, che però attraverserà Rino Gattuso, con calciatori che escono allo scoperto ora, quando tutto ormai è già deciso, e si schierano: lo fa Koulibaly («Sono e sarò sempre con lui»), lo rifà Zielinski («Noi siamo sempre con lui»), e lo percepisce Ancelotti, che nello spogliatoio ha visto scendere le lacrime sulle guance di uomini difesi, eticamente e sinceramente, sino all’ultimo secondo. «Non c’è mai stata una spaccatura nel gruppo ma è normale essere in discussione, perché in campionato non siamo riusciti a fare ciò che invece ci è venuto benissimo in Champions. Dobbiamo tornare a giocare bene anche in Serie A, è chiaro. Ma stavolta abbiamo avuto risposte, con il rientro di Allan e quello di Milik, con il gesto di Mertens di concedere al centravanti polacco la possibilità di realizzare la tripletta. I segnali sono quelli giusti e Milik ci è mancato tanto».
Però oggi sarà irrimediabilmente un altro giorno. E Rino ha già un volo prenotato: il Napoli da ieri sera di fatto è diventato suo.
Negli spogliatoi le lacrime e le parole di sostegno da parte di tanti giocatori
Dopo la gara parlava ancora da guida «Buoni segnali, io non mi dimetto»