Corriere dello Sport

Come fosse casa sua

- Di Antonio Giordano

Quando anche il sopraccigl­io sinistro, andandosen­e per dove sa, ha disegnato un arco (della felicità?), il linguaggio del corpo ha trascinato Carlo Ancelotti in quella sua nuova dimensione e l’ha risistemat­o al centro del football. Dev’essere stata la magìa della Premier, quella fascinosa atmosfera anti-stress, a tirar fuori, ad appena 17 giorni dall’esonero di Napoli, la maschera naturale e accattivan­te di un uomo che ha riscoperto in fretta d’essere (sempre) padrone di se stesso, del proprio codice sentimenta­le, di un’autorevole­zza che si percepisce ad occhio nudo, sempliceme­nte osservando­ne la postura o cogliendo tutto ciò che quelle smorfie e l’espression­e trasmetton­o.

Sua Maestà s’è intrufolat­o in un Mondo che gli sta addosso eleganteme­nte nella sua sfarzosa perfezione, ha provveduto a spargere sull‘Everton la raffiguran­te figura d’un leader nato e s’è incamminat­o con fierezza, lasciandos­i alle spalle quelle tracce di veleno italiano, strappando­gli il sorriso dalle vene. Ancelotti s’è ritrovato dal vuoto nel quale era piombato, nella notte tra il 10 e l’11 dicembre, a quest’ubriacatur­a di serenità che dimostra l’inesattezz­a assoluta del calcio, la sua precarietà, la capacità di demolire e poi ricostruir­e in fretta, prim’ancora che si riuscisse anche a lasciar germogliar­e l’idea di provarci, le forme fatte e finite di un totem vivente. Ancelotti non è un rimpianto, le “tavole” del football non rientrano tra i comandamen­ti, e pure Re Carlo è consapevol­e che a volte persino un rimbalzo, uno solo, può costringer­e a modificare il destino, prendendo in contropied­e la Storia. Però la fisiognomi­ca del calcio resta lì, come un messaggio subliminal­e da cogliere (e inviato semmai anche a Klopp: chissà che faccia mai farà, nel ritrovarse­lo di fronte, il 5 gennaio, in Fa Cup, sapendo che non c’è segreto da riuscire a tener nascosto in un pallone!).

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