Corriere dello Sport

Zhang spinge sull’accelerato­re

- di Italo Cucci

Young è già a Milano, Eriksen in arrivo, Giroud in attesa. L’Inter vuole azzerare il gap dalla Juve. Cinque mesi fa nessuno parlava di scudetto (esclusi pochi audaci “di fuori” come il sottoscrit­to), in programma una lunga marcia d’avviciname­nto poi, all’improvviso, il cambio di strategia.

Young è già a Milano, Eriksen in arrivo, Giroud in attesa. L’Inter vuole azzerare il gap dalla Juve. Cinque mesi fa nessuno parlava di scudetto (esclusi pochi audaci “di fuori” come il sottoscrit­to), in programma una lunga marcia d’avviciname­nto poi, all’improvviso, il cambio di strategia: vincere, vincere subito perché - come ricorda chi in bianconero c’è stato e ha vinto e adesso è nerazzurro - «vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». In altre parole, l’hanno detto tutti i presidenti, da un Moratti all’altro, mettendoci, chi più chi meno, soldi e sogni. L’ultimo vincitore, Massimo Moratti, il primo a infondere nel giovane Zhang l’ideale interista, ha lasciato un Triplete (orgoglio e dannazione) a dir poco prezioso. Non esibì spese, fatturati, bilanci, se la cavò con una battuta rubata a un produttore di panettoni: «Io come Babbo Natale per tutti gli acquisti e i miliardi spesi per l’Inter? No, lui avrebbe speso sicurament­e di meno». Ma la molla a vincere non è sempre e solo la passione del Capo. Thohir ci stava provando, è scappato giusto in tempo per non bruciarsi. Zhang ha osservato a lungo, s’è improvvisa­mente acceso, spinto dall’ambizione del tecnico che ha infranto anche il muro di prudenza di Marotta. Non solo per un motivo che va oltre l’ormai antica sfida fra Beneamata e Odiamata, pur sempre accesa, ma perché i presunti miracoli del Sarrismo una volta lasciata la Zona San Gennaro tardano a venire e paiono piuttosto tocchi di magía di Ronaldo e Dybala. Un anno fa il tema era “giocar bene”, dura lotta fra “estetisti” e “risultatis­ti”, Sarri il perdente alle stelle, Allegri il vincitore a casa. Non si parla più di forma ma di sostanza. Madama soffre? Perché attendere? Mai visto un gennaio così, in Casa Inter: befana tutti i giorni. Merito di chi, dunque?

Ecco una citazione/indovinell­o: «Con lui l’Inter mostrò una difesa di granito e un attacco supersonic­o, martellava psicologic­amente, chiedeva ai suoi difensori di essere soldati. Duro, carismatic­o, teatrale, geniale. Più stregone che mago». A chi si riferisce? A Mourinho o a Conte? Aggiungo un dettaglio, “taca la bala”, e allora tutto è chiaro: Helenio Herrera. C’ero. L’ho conosciuto. Ci ho litigato. Eravamo nemici. Siamo diventati “quasi” amici perché continuava­mo a farci agguati, sospettosi d’inganni per via di quel passato pieno d’ira. HH ha creato uno stile tipico della Beneamata: darsi a padroni ricchi e innamorati in cambio di campioni che facessero godere il popolo nerazzurro. Vincendo, naturalmen­te. Le vie di mezzo - le campagne risparmios­e, i vorrei ma non posso - sono solo situazioni occasional­i per la cronaca, non per la storia. Helenio, scovato a Barcellona da Angelo Moratti, pretese molti giocatori e un campione: «Possiede la velocità di Bicicli - disse - il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori, il tiro di Altafini». Si chiamava Suarez, Luisito Suarez, costò un botto, portò l’Inter nel mondo. Fu la volta di Mourinho, l’Ultimo Vincitore, conquistò Moratti, cuore e portafogli, e il mercato, i venditori accorrevan­o da ogni angolo d’Europa, Milano era il suk, diventaron­o nerazzurri Amantino Mancini, Quaresma, Muntari, Jiménez, Obinna, il sedicenne Coutinho, poi incompreso. E ancora: Milito, Thiago Motta, Lucio, Eto’o, Arnautovic, Sneijder...

Le virtù di Romelo Lukaku le ha appena cantate Conte: non sarà Suarez, Milito o Eto’o ma gli somiglia. A suon di gol è anche meglio. Ma come insegnaron­o i Maestri, il segreto della vittoria non è il campione, è una squadra di campioni. Sta nascendo.

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