PIÙ CHE RED DEVILS SEMBRANO FANTASMI
Il Manchester United stravinceva, dall’addio di Ferguson è in crisi Speso un miliardo in sette anni per vincere l’Europa League e due coppe nazionali. E i tifosi se ne vanno
Poco meno di un miliardo di euro spesi per vincere una Europa League e due coppe domestiche (una FA Cup e una Coppa di Lega). Un patrimonio economico dissipato nel corso di sette stagioni, sciagurate per mancanza di strategia manageriale, assenza di lungimiranza, incapacità nell’individuare profili di giocatori adatti, e il crescente disamore dei tifosi, che mercoledì hanno abbandonato in gran numero lo stadio durante il flop con il Burnley. L’uscita di scena di Sir Alex Ferguson, mai rimpianto come ora, ha fatto sprofondare il Manchester United in un baratro di pressappochismo altamente dispendioso. Che puntualmente ha guidato i dirigenti dei Red Devils nelle (quasi) 26 sessioni di mercato che si sono inutilmente susseguite dall’addio della leggenda scozzese. Un unico segno di continuità: esorbitanti investimenti seguiti invariabilmente da fragorosi fallimenti. Dai 70 milioni di euro spesi per Angel Di Maria ai quasi 90 per Romelu Lukaku, che solo ora a Milano sta finalmente esprimendo tutto il suo potenziale. Perché dall’estate 2013, in poche settimane, lo United ha subito uno stupefacente ridimensionamento tecnico-tattico: se a livello finanziario i Red Devils continuano a primeggiare tra i club più ricchi al mondo, in campo lo stesso primato appare lontanissimo, quasi fosse ormai una chimera. Già staccati addirittura 34 punti dal primo posto, occupato dal Liverpool, 17 lunghezze dal secondo posto del Manchester City, e 6 dal quarto posto che vale la Champions League: anche l’attuale stagione si incammina velocemente a rivelarsi come l’ennesima campagna domestica deludente, nonostante la scorsa estate dalle parti dell’Old Trafford non si fosse badato a spese, con uscite superiori ai 170 milioni di euro.
CINQUE MANAGER IN 7 ANNI. In sette campionati si sono succeduti cinque allenatori, e tutto lascia immaginare che quest’estate, qualora non centrasse almeno la qualificazione all’Europa League, anche Ole Gunnar Solskjaer - che intanto ha chiesto ufficialmente l’ingaggio di uno psicologo da inserire nello staff, per provare a riportare la squadra ad un livello accettabile di autostima dopo le ultime batoste - dovrà lasciar spazio a qualcun altro. Un’alternanza che rivela lo stato confusionale in cui versa il club più titolato d’Inghilterra, che solo con José Mourinho è riuscito (e non completamente) a raggiungere risultati all’altezza del suo (ormai offuscato) blasone. Non a caso il portoghese continua a ritenere il secondo posto conquistato nella Premier League stagione 2017/18 tra i risultati più prestigiosi della sua carriera. A conferma anche delle ridimensionate ambizioni del club, ormai stabilmente regalato tra i comprimari costretti ad assistere ai successi altrui. Del Manchester City prima, del Liverpool oggi. Guarda caso le due più acerrime rivali dei Red Devils. Una coincidenza che rende ancora più amari questi anni ai tifosi dell’Old Trafford, che non sanno più con chi prendersela. Prima con la proprietà, la famiglia statunitense Glazer, poi con la dirigenza. Manca, più di ogni cosa, una direzione chiara, qualcuno del club - in possesso di un po’ di credibilità - che sappia individuare ed indicare la via per tornare ai fasti di una volta. Perché ormai è chiaro che i soldi, anche quella montagna spesa invano per 29 nuovi giocatori in questi anni, non bastano. Sono necessari per attirare i giocatori migliori, ma non sufficienti per costruire una squadra migliore.
Grandi investimenti e acquisti fallimentari Intanto Solskjaer chiama uno psicologo