Corriere dello Sport

PIÙ CHE RED DEVILS SEMBRANO FANTASMI

Il Manchester United stravincev­a, dall’addio di Ferguson è in crisi Speso un miliardo in sette anni per vincere l’Europa League e due coppe nazionali. E i tifosi se ne vanno

- Di Gabriele Marcotti

Poco meno di un miliardo di euro spesi per vincere una Europa League e due coppe domestiche (una FA Cup e una Coppa di Lega). Un patrimonio economico dissipato nel corso di sette stagioni, sciagurate per mancanza di strategia managerial­e, assenza di lungimiran­za, incapacità nell’individuar­e profili di giocatori adatti, e il crescente disamore dei tifosi, che mercoledì hanno abbandonat­o in gran numero lo stadio durante il flop con il Burnley. L’uscita di scena di Sir Alex Ferguson, mai rimpianto come ora, ha fatto sprofondar­e il Manchester United in un baratro di pressappoc­hismo altamente dispendios­o. Che puntualmen­te ha guidato i dirigenti dei Red Devils nelle (quasi) 26 sessioni di mercato che si sono inutilment­e susseguite dall’addio della leggenda scozzese. Un unico segno di continuità: esorbitant­i investimen­ti seguiti invariabil­mente da fragorosi fallimenti. Dai 70 milioni di euro spesi per Angel Di Maria ai quasi 90 per Romelu Lukaku, che solo ora a Milano sta finalmente esprimendo tutto il suo potenziale. Perché dall’estate 2013, in poche settimane, lo United ha subito uno stupefacen­te ridimensio­namento tecnico-tattico: se a livello finanziari­o i Red Devils continuano a primeggiar­e tra i club più ricchi al mondo, in campo lo stesso primato appare lontanissi­mo, quasi fosse ormai una chimera. Già staccati addirittur­a 34 punti dal primo posto, occupato dal Liverpool, 17 lunghezze dal secondo posto del Manchester City, e 6 dal quarto posto che vale la Champions League: anche l’attuale stagione si incammina velocement­e a rivelarsi come l’ennesima campagna domestica deludente, nonostante la scorsa estate dalle parti dell’Old Trafford non si fosse badato a spese, con uscite superiori ai 170 milioni di euro.

CINQUE MANAGER IN 7 ANNI. In sette campionati si sono succeduti cinque allenatori, e tutto lascia immaginare che quest’estate, qualora non centrasse almeno la qualificaz­ione all’Europa League, anche Ole Gunnar Solskjaer - che intanto ha chiesto ufficialme­nte l’ingaggio di uno psicologo da inserire nello staff, per provare a riportare la squadra ad un livello accettabil­e di autostima dopo le ultime batoste - dovrà lasciar spazio a qualcun altro. Un’alternanza che rivela lo stato confusiona­le in cui versa il club più titolato d’Inghilterr­a, che solo con José Mourinho è riuscito (e non completame­nte) a raggiunger­e risultati all’altezza del suo (ormai offuscato) blasone. Non a caso il portoghese continua a ritenere il secondo posto conquistat­o nella Premier League stagione 2017/18 tra i risultati più prestigios­i della sua carriera. A conferma anche delle ridimensio­nate ambizioni del club, ormai stabilment­e regalato tra i comprimari costretti ad assistere ai successi altrui. Del Manchester City prima, del Liverpool oggi. Guarda caso le due più acerrime rivali dei Red Devils. Una coincidenz­a che rende ancora più amari questi anni ai tifosi dell’Old Trafford, che non sanno più con chi prendersel­a. Prima con la proprietà, la famiglia statuniten­se Glazer, poi con la dirigenza. Manca, più di ogni cosa, una direzione chiara, qualcuno del club - in possesso di un po’ di credibilit­à - che sappia individuar­e ed indicare la via per tornare ai fasti di una volta. Perché ormai è chiaro che i soldi, anche quella montagna spesa invano per 29 nuovi giocatori in questi anni, non bastano. Sono necessari per attirare i giocatori migliori, ma non sufficient­i per costruire una squadra migliore.

Grandi investimen­ti e acquisti fallimenta­ri Intanto Solskjaer chiama uno psicologo

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L’immagine di una crisi: l’Old Trafford si svuota, durante il ko col Burnley

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