CARUSO: SORPRESA LEBRON TIFA PER ME
«Per lui sono il migliore, quando me lo dice rimango spiazzato So chi sono ma devo crescere»
Dov’è Caruso? Qui, nello spogliatoio del Garden, dopo la vittoria di Los Angeles sui New York Knicks. Trovarne l’armadietto, anche senza leggere il nome, sarebbe stato facile: era l’unico in cui non fossero appesi abiti da ventimila dollari, cappotti di astrakhan rosa e impermeabili fatti di materiale lunare.
Nel posto di Caruso stazionava un sandwich al prosciutto chiuso nel cellophane, calzini bianchi di spugna, camicia di flanellona rossa, cappello di lana beige, più due cellulari, messi in un angolo. Unico lusso, un borsello firmato, ma di quelli che ai Lakers hanno anche i magazzinieri. Attorno, è la solita piccola Hollywood, dove ogni giocatore sembra vivere perennemente davanti allo specchio. Quando rientrano dalla doccia, con il loro passo lento e misurato, non sai se aspettarti una conferenza o una sfilata.
I venti giornalisti si dividono tra LeBron James, che si riveste con la calma di un dio, Anthony Davis, impegnato a passarsi creme sui muscoli, e Kyle Kuzma, attento a non far scivolare dai fianchi l’asciugamano proprio sotto gli occhi di due giornaliste.
Tra i due, seduto e invisibile, c’è lui: Caruso. Colto da un attacco freudiano di sincerità, il ragazzo chiede all’unico giornalista che gli sta di fronte: «Mah… vuoi parlare proprio con me? ‘Graccie’».
Votato da oltre mezzo milione di tifosi per l’All Star Game, finito davanti a Russell Westbrook, prima quarto, poi sesto, infine fuori dalla selezione, «dov’è Caruso» lo chiedono a migliaia sui social, anche chi fino a dieci giorni fa diceva: beh, se lui è in classifica, non lamentatevi se l’Nba perde telespettatori. In un anno Caruso è passato da riserva a pedina importante nello scacchiere dei Lakers, con un contratto biennale da 5 milioni di dollari.
I tifosi lo amano, i compagni anche. Difende, lotta, sembra giocarsi la vita ogni secondo. Caruso è diventato personaggio per molti motivi, ma soprattutto perché, con tutta sincerità, non sembra un giocatore Nba, ma un ragazzo bianco di 25 anni alle prese con una calvizie precoce. Qualcuno lo considera un sottoprodotto e forse lo pensa anche lui. In panchina siede sull’ultima sedia, quella accanto agli inservienti in gilet grigio antracite del Garden. Entra e non delude: segna i due punti che portano i Lakers a quota cento, a cui aggiunge un rimbalzo, la solita palla rubata e una stoppata.
Quando, però, subisce un canestro da Damyean Dotson, Caruso si volta ansioso verso la panchina come se avesse visto comparire sul maxischermo la scritta: ricordati che sei un precario. E’ il giocatore Nba più vicino alla condizione del tifoso. Potrebbe giocare in questa lega per dieci anni, come guardarla da casa tra due. «Ma quando vado in campo do tutto - spiega con calma, mentre si riveste - la gente lo apprezza, i compagni anche». L’umiltà, soprattutto.
«Me l’hanno insegnata i miei genitori, gli amici. Mi dicono sempre di tenere i piedi per terra». E’ un tratto molto italiano.
«Ah sì? - risponde divertito - non lo so, mio padre ha cinquant’anni, sua nonna cento, le nostre origini hanno fatto un salto di un paio di generazioni. Il mio cognome originale era Carusi, poi è diventato Caruso. E’ siciliano ma mi sento più un freddo americano».
In Italia è stato solo pochi giorni. «Con Texas University per un torneo - ricorda - ho giocato a Roma e a Sorrento. Passaporto italiano? No, mai pensato, anche perché ho sempre sognato di giocare in Nba. Non credo lo chiederò mai, non ho neanche amici italiani».
Ai Lakers ha una media di 18,9 minuti a partita, ha il merito di essere entrato nelle rotazioni senza farsi scaraventare via dalla forza stordente di giocare con LeBron. Non tutti possono permettersi di dirsi suoi compagni. Fuori dallo spogliatoio sono ammassati i trolley dei giocatori. Ognuno ha l’etichetta con il nome. Su quello di Caruso c’è scritto «Mamba». Il soprannome completo, in realtà, sarebbe Mamba Calvo, ma LeBron gliene ha aggiunto un altro: «Goat», Greatest Of All Time.
«Quando mi ha chiamato così per la prima volta, sono rimasto un po’ spiazzato, ma ormai lo fa sempre».
Non lo ha cambiato neanche questo.
«So che devo migliorare al tiro, in difesa, in tutto, ma so chi sono e cosa posso fare. Soprattutto, devo continuare a restare umile», conclude, toccandosi istintivamente il braccialetto bianco al polso sinistro con scritto «Humble over hype», con umiltà oltre le aspettative, l’ansia, le vertigini. Però ora mettiti il cappello di lana, perché fuori dal Madison stasera fa più freddo del solito.
IERI
Cleveland Cavaliers-Washington Wizards 112-124, Brooklyn Nets-Los Angeles Lakers 113-128, Portland Trail Blazers -Dallas Mavericks 125-133
Non è il prototipo del giocatore Nba «Ma in campo do tutto e questo piace»
«Il mio cognome era Carusi. Il basket italiano? Il mio sogno è solo la Nba»