Il feeling mai nato con Fonseca e la paura di perdere l’Europeo
Florenzi ha resistito a lungo per questioni di cuore ma l’esclusione nel derby lo ha spinto all’addio
Non si può dire che non ci abbiano provato. I due lettera effe, Florenzi e Fonseca, capitano e allenatore, si sono impegnati a fondo, contro l’evidenza dei fatti. Si dovevano capire per convincersi. Alla fine hanno realizzato che nell’interesse collettivo, ma anche personale, fosse consigliabile andare ognuno per la propria strada.
PROFILI. Li sta separando una distanza molto più tecnica e che umana, più sostanziale che formale. A volte la verità è banale, lucida. Si possono immaginare discussioni anche feroci dietro all’addio ormai probabile alla Roma. In ogni ambiente di lavoro può capitare di litigare con un capo per una divergenza di vedute. Ma la vera ragione è scritta negli schemi: il 4-2-3-1 di Fonseca cerca determinati tipi di terzini e, se del caso, altri profili di attaccanti. Florenzi, tradizionalmente un tappabuchi utile ma non indispensabile, ha pagato la scarsa propensione a specializzarsi. Non è abbastanza solido e coraggioso come terzino, non è abbastanza creativo e imprevedibile per essere un attaccante. A parere dell’allenatore, chiaro. E a Torino, travolto da Cristiano Ronaldo che è portoghese come Fonseca, Florenzi si è arreso alla sua stessa normalità: non solo è stato responsabile sul primo gol della Juventus ma nel secondo tempo, avanzato sulla linea offensiva, ha fallito la facile occasione del 2-3. In questo contesto, è inevitabile ripensare al misterioso “like” comparso la scorsa settimana su un commento che invitava la Roma a vendere Florenzi. Era firmato (e poco dopo cancellato) da Paulo Fonseca.
TIMBRO. Era appena stato eletto capitano, Florenzi, ereditando la tradizione romana che durava ininterrottamente da 22 anni e, correndo ancora più indietro, ha circondato le braccia illustri di miti cittadini come Giannini, Di Bartolomei, Bernardini, Ferraris IV. Ma la logica ha voluto che lasciasse la Roma subito dopo gli immediati predecessori, Totti e De Rossi, come se non fosse degno della successione. Non era vero, naturalmente, perché in questi mesi difficili tra panchine e dubbi Florenzi ha tenuto sempre un comportamento impeccabile. Mai una dichiarazione ostile a Fonseca o alla società, mai un gesto di nervosismo o di disappunto in campo. Anzi, era il primo a guidare i compagni sotto la curva anche se non aveva giocato. Ma l’esclusione del derby, dopo il disastro di Juventus-Roma, è stato il flusso canalizzatore del commiato. L’aggressività umile di Santon, la ritrovata vena di Spinazzola, il rientro non lontano di Zappacosta gli hanno suggerito di cambiare. Non c’era più spazio per lui, non c’era più tempo per tentennare.
AMORE. Già in estate Florenzi aveva capito che la Roma, sensibile alle plusvalenze, sarebbe stata pronta a venderlo. Aveva resistito. Ma adesso la passione per il calcio e l’orgoglio dell’uomo stanno prevalendo. Rispettosamente. Florenzi potrebbe indossare un’altra maglia di Serie A, incrociando magari la Roma nel girone di ritorno, e sfruttare le motivazioni di una rivincita. Invece ha dato mandato all’inseparabile amico-procuratore di cercargli una piazza estera interessante, finché non è spuntato il Valencia che è un bel posto dove vivere e giocare. Non avrà offerto tutta la carriera alla Roma - del resto era già passato per Crotone da giovanissimo - ma non potrà mai attribuirsene la responsabilità: ha deciso di andare perché lo lasciano andare.
Sperava di essere tornato importante ma a Torino ha capito che non era più così