Corriere dello Sport

SERGEJ AVVERTE «JUVE ATTENTA»

Milinkovic, dopo la rete, manda un messaggio chiaro «Devono sapere che siamo lì e che non molliamo Il mio gol? Conta il gruppo, la Lazio è una famiglia»

- Di Marco Ercole

Un gigante in mezzo al campo, padrone assoluto della partita. Potenza e controllo, tutto racchiuso in solo uomo. È stata la serata di Milinkovic, ancora una volta. Perché dopo aver deciso la sfida con la Juve, si è ripetuto pure contro l’Inter. Sta diventando sempre più il giocatore della provvidenz­a, quello capace di risolvere i big match. Nel corso di questa stagione qualcuno gli ha rimprovera­to di aver perso brillantez­za in zona gol rispetto al passato, lui sta rispondend­o con il classico “pochi, ma buoni”, mettendo la sua griffe sui momenti cruciali di una cavalcata sempre più entusiasma­nte: «Ma non c’è solo la mia firma ha detto al termine della gara su questa partita, ci sono anche quelle di tutto il resto dei ragazzi che compongono questa squadra. Ribadisco quello che ho detto pochi giorni fa: siamo una famiglia, speriamo di continuare su questa strada».

SCUDETTO. Un successo da condivider­e con il gruppo, ma il sigillo che ha completato la rimonta resta il suo. Più che una rete è una danza, quella di Sergej. Suola destra, colpo secco e diabolico di sinistro, entrato docilmente nell’unico punto dove Padelli (né Brozovic, che si era immolato pochi secondi prima su Marusic) non poteva arrivare. E la piacevole corsa verso il primo posto ora non può più essere nascosta: «Per noi l’obbligo resta la Champions League, non lo Scudetto. Poi se rimaniamo là possiamo anche provare a a vincerlo, vediamo partita dopo partita. Che messaggio è per la Juve? Devono sapere che siamo lì, così come lo è l’Inter anche se ha perso contro di noi. Loro non mollano, noi non molliamo. Alla fine vedremo cosa succederà». Intanto la Lazio ha messo lì altri tre punti, è arrivata a quota 56, a una sola lunghezza dai bianconeri in testa. Un trionfo pesantissi­mo, insomma. Ma quel gol che lo ha certificat­o è solo la ciliegina sulla torta per il serbo, l’ultima decorazion­e di un dessert dolcissimo servito a un Olimpico degno delle grandi occasioni. Controlli di suola, colpi di tacco, numeri da circo e chi più ne ha più ne metta. Ha “costretto” la Tribuna Monte Mario ad alzarsi in piedi per tributargl­i una standing ovation a partita in corso, quando è uscito con eleganza (e due sombreri) dal pressing di Eriksen e Barella.

TRASCINATO­RE. Si è messo sulle sue spalle l’intera squadra, ha suonato la carica per recuperare nella ripresa quello svantaggio con il quale la Lazio era andata a riposo nell’intervallo: «Loro non hanno giocato bene il primo tempo, abbiamo creato noi più occasioni. Alla fine però a segnare è stata l’Inter. Così siamo andati dentro lo spogliatoi­o, ci siamo parlati e detti che questa dovesse essere la nostra partita. E con quell’atteggiame­nto siamo risaliti in campo per giocare alla grande i secondi 45 minuti». Ci sono riusciti, Milinkovic e gli altri sono rientrati ancora più affamati, con la voglia di restare aggrappati alla volata. Il Sergente ha impartito gli ordini, ha dato l’esempio al resto della truppa. Si è sacrificat­o per garantire l’equilibrio in mezzo al campo, ha messo il fisico nei duelli a centrocamp­o, ha dato qualità in fase di possesso e alleggerit­o il forcing dell’Inter quando si è buttata in avanti per tentare di recuperare. E poi sì, ha fatto quel gol che ha regalato la vittoria. Da gigante in mezzo al campo, padrone assoluto della partita.

«Chi vincerà il campionato? Io dico Lazio... Ha Leiva che è stato nel Liverpool, e Immobile che è stato un mio giocatore.

Io tifo per loro»

Jürgen Klopp, allenatore del Liverpool campione d’Europa

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BARTOLETTI Un duello tra l’interista Vecino (28 anni) e Milinkovic (24)
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