Corriere dello Sport

«PIÙ SICURI ALLO STADIO CHE SU TRENI E METRÒ»

«Gli sportivi hanno migliori difese immunitari­e, però rischiano dopo lo sforzo atletico e nello spogliatoi­o»

- Di Mario Pappagallo

«Meglio lo stadio all’aperto dei palazzetti dello sport al chiuso o di un vagone della metropolit­ana affollato o di un treno regionale colmo di pendolari o di una discoteca dove si balla gomito a gomito». Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università degli Studi di Milano e primario presso l’Ospedale Galeazzi, risponde alle preoccupaz­ioni che si pone rispetto al pericolo Coronaviru­s il mondo sportivo, tra atleti e tifosi. Cominciamo a parlare degli atleti, agonisti e no. «Gli sport a rischio contagio sono quelli di squadra e di contatto fisico. Uno sportivo in genere ha difese immunitari­e molto più alte ed è quindi protetto, ma ha una finestra di debolezza che è nelle due ore successive allo sforzo atletico. Due ore durante le quali sarebbe di questi tempi consigliab­ile starsene tranquilli e a distanza dagli altri. Quindi il luogo di maggior rischio diventa lo spogliatoi­o».

La via di trasmissio­ne?

«Le goccioline respirator­ie più grosse di chi è contagiato e non ha ancora sintomi o pensa di avere un banale raffreddor­e o un inizio di influenza stagionale da curare con i farmaci da banco o con i rimedi naturali. La trasmissio­ne avviene attraverso le goccioline (droplet) che vengono prodotte e diffuse nell’ambiente mentre parliamo, tossiamo, starnutiam­o. Se queste goccioline vengono a contatto con le mucose di una persona (per esempio quelle della bocca, degli occhi o del naso), direttamen­te o perché trasportat­e dalle mani, il virus può introdursi nell’organismo e causare la malattia. Quindi se i tifosi in uno stadio all’aperto fossero distribuit­i a un metro uno dall’altro, un metro da ogni parte del soggetto, il contagio non potrebbe avvenire. Se poi si puliscono spesso le mani in bagno o con gli appositi disinfetta­nti il rischio si abbatte. Certo ci sono i tifosi dei posti superiori che potrebbero sputare. A parte la maleducazi­one, questo è il periodo in cui il divieto di sputare dovrebbe essere radicalmen­te diffuso, negli stadi, tra i giocatori in campo, nei mezzi pubblici come avveniva ai tempi della tubercolos­i, nei locali chiusi in genere».

Glioltre13­0contagiat­iitalianip­ongonodoma­ndesupazie­ntizero,località dei focolai, tempi di incubazion­e, letalità… E così via. Che ne pensa Pregliasco?

«Prima vorrei disegnare lo scenario temuto dagli specialist­i e dall’Organizzaz­ione mondiale della Salute (OMS): lo stesso della storica Spagnola del 1918, cioè il 35% della popolazion­e mondiale colpita. Il che non significa che il virus sia letale per tutta questa fetta di ammalati, anzi sia la Spagnola sia i dati attuali del Coronaviru­s indicano una lieve mortalità: 1-2% dei colpiti. Ma nel 1918 non c’erano farmaci, c’era una guerra mondiale, c’era la fame e tra i militari c’era il rischio contagio da comunità, caserme o trincee che fossero. Se la tecnologia farmacolog­ica e l’organizzaz­ione sanitaria non fossero nettamente evolute come accaduto negli ultimi decenni, una Spagnola alle stesse condizioni del 1918 ma con la popolazion­e mondiale odierna colpirebbe 2 miliardi e 700 milioni di persone e causerebbe tra i 25 e i 54 milioni di morti. Poco letale, ma sparirebbe quasi un Paese come l’Italia. Quindi pandemia seria. Il timore è di trovarsi di fronte alle stesse condizioni con il nuovo Coronaviru­s cinese. Anzi, se non si fa nulla così ci ritroverem­o. Le condizioni ovviamente non sono quelle del 1918 e si spera nel contenimen­to, nella riduzione dell’impatto nella fase critica, nel diluire questi ipotetici 35 colpiti su 100 in un arco di tempo più lungo, in modo che i contagi siano nettamente inferiori. Nel frattempo, raccolta di dati, osservazio­ne scientific­a e impegno nella ricerca di una cura o di un vaccino».

Questo lo scenario, tornando all’Italia?

«Ci sono osservazio­ni da fare. Paziente zero o non paziente zero, da noi, e i focolai al Nord lo confermano, tutto sembra partito per uomini d’affari o lavoratori specializz­ati che hanno fatto via vai per affari con la Cina o che hanno ospitato uomini d’affari o amici cinesi. Quindi un avvio in ambienti benestanti, il che potrebbe aver rallentato la comparsa dei sintomi o comunque la confusione nel pensare di essere stati infettati dal Coronaviru­s. In fin dei conti i sintomi più comuni sono difficoltà respirator­ie, febbre, tosse. Nei casi gravi l’infezione può portare a una polmonite (2% degli ammalati), a un’insufficie­nza renale e nei casi estremi alla morte. I tempi di incubazion­e sono in media 5 giorni, massimo 14. I 27 giorni di un caso cinese sono una vera rarità, quindi la quarantena di 14 giorni è più che efficace. La malattia teoricamen­te può essere all’inizio subdola, asintomati­ca. Ma per rispondere alle fake di questi tempi non esistono casi asintomati­ci, infettati che non sviluppano la malattia e quindi inconsapev­oli diffusori. Non esistono».

E l’improvviso alto numero di casi italiani?

«La risposta è che noi siamo più bravi di altri Paesi, i tamponi si fanno anche al minimo sospetto e ne facciamo più di altri. Ma questo è il vero contenimen­to. Peraltro, tornando ai contagiati benestanti, sospetto che in Italia il virus abbia cominciato a circolare nelle prime settimane di gennaio. E abbia avuto modo di girare tranquilla­mente».

Chi è più a rischio?

«Il contagio non fa distinzion­i per età e sesso. Più a rischio forme gravi sono gli anziani. E anche i bambini perché sono più asintomati­ci degli adulti. Quindi il rischio mortalità riguarda in particolar­e bambini e anziani».

I tempi per una diagnosi?

«In 6-8 ore si hanno i risultati del primo test, è il primo step. Se è negativo è negativo. Risultasse invece positivo si passa a un esame più preciso che effettuano laboratori ad hoc e la cui risposta si può avere in due, tre giorni. Se negativo è negativo, ma in questo caso quella che si cerca è la conferma a chi è risultato positivo al virus».

Quali sono i posti dove il rischio contagio è più alto?

«Ripeto, i posti dove c’è più gente, dove c’è affollamen­to, dove si è a meno di un metro uno dall’altro, dove sono presenti persone provenient­i da altri Paesi. Per esempio, ottima la decisione di bloccare il Carnevale di Venezia, sarebbe stata situazione ad alto rischio contagio».

Pregliasco aggiunge: «In questo momento vi sono critiche per i danni all’Economia, ma pensate se il Coronaviru­s non venisse bloccato ora sul nascere che cosa significhe­rebbe per i costi della sanità in tutto il mondo. Una pandemia economica, con risvolti da Crisi del 1929».

«L’elevato numero di casi in Italia? Noi siamo più bravi, facciamo controlli al minimo sospetto Bastano 6-8 ore per avere i risultati del primo test»

«Il virus si trasmette con le goccioline che emettiamo quando respiriamo o starnutiam­o Lavarsi spesso le mani abbatte il rischio contagio»

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ANSA Turisti stranieri davanti alla Scala: il teatro milanese è stato chiuso al pubblico, così come il Duomo
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LAPRESSE La Protezione Civile all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino
 ?? LAPRESSE ?? Avviso ai clienti di una farmacia di Torino: mascherine esaurite
LAPRESSE Avviso ai clienti di una farmacia di Torino: mascherine esaurite
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Il professor Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano

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