Insigne contro Messi: pulce a chi? Lorenzo sogna la notte magnifica
E’
stato più difficile «evadere» luoghi da uscendo comuni Frattamaggiore, che dai avrebbero rovinato la vita a chiunque, tranne a chi invece ha deciso di sfidare la natura e pure il destino affrontandoli a viso aperto, da gigante: perché ci sono le «pulci»; e vabbè, scendono da Marte o chissà da quale ignoto e misterioso pianeta e, però, esistono pure gli scugnizzi, che ne hanno egualmente viste di cotte e di crude e sentite qualcuna in più: «E’ piccolo...». Ma con un cuore grosso così e poi un piede, il destro, ch’è servito per spingersi oltre, per scalare quell’Everest dei pregiudizi che gli si è parato di fronte, dal giorno in cui, sbarcando tra gli extraterrestri, ad Insigne è stato chiesto d’esibire il certificato di cittadinanza. Napoli-Barcellona è (ancora) la storia che ti sfiora, sino a ad avvolgerti, conquistandoti, tra le sublimi veroniche della memoria, in quella narrazione suggestiva che allunga l’ombra del pibe nella notte che sa di Messi ma anche di Insigne e che su Sky è stata recentemente assorbita lasciandosi andare, schierandosi. «Messi è un fenomeno, ha doti che per me non ha nessun altro. Io sono innamorato di lui come calciatore e come persona, perché rispetto ad altri calciatori ama la riservatezza e lascia che del proprio privato non si parli praticamente mai. Non lo conosco, ma immagino sia un fuoriclasse anche fuori dal campo. Penso che, dopo Maradona, sempre dopo Diego, sia lui il più forte di tutti».
CAPOLAVORO. Sarà la fascinazione di una serata stellare, da attraversare con l’autorevolezza di chi ha sempre evitato d’essere banale, sin dal primo giorno da Champions League, ed era il 18 settembre del 2013, contro il Borussia Dortmund: quel pallone, una golosità per chiunque, divenne subito il suo, spostò Gonzalo Higuain, fatti più in là, poi guardò il portiere, che avrebbe mandato a sbattere contro un palo costringendolo poi a doversi riemettere un dente, e sistemò il suo talento all’incrocio dei pali. A Dortmund, al ritorno, lo rifece, ma diversamente, proprio sotto al Muro, i 24.454 della Südtribüne del Westfalenstadion (ora
Signal Iduna Park), perché almeno ci fosse la speranza.
LA GALLERIA. Insigne è quello delle notti magiche moderne, le vive da dentro, ci sale con pennellate d’autore (sono state 10 in 28 presenze), come a Madrid, al «Santiago Bernabeu» come per lui divenne il «Prado»: strappò la tela alla partita, la dipinse con una treaettoria che pareva un arcobaleno, da trentacinque metri o anche quaranta. E affinché restasse qualcosa di suo, in questa Champions inebriante, Insigne s’è travestito da «monello» al Parco dei Principi (azzurri), in un 2-2 doloroso nel finale, però prima denso della sua fantasia, capace di abbagliare anche Klopp, un anno e mezzo fa ma anche nel 2019, in quelle due sfide in cui ci hanno pensato gli altri. «Noi che siamo diventati un po’ la bestia nera del Liverpool, al quale abbiamo strappato quattro punti su sei, sappiamo di dover giocare una partita stratosferica, come quelle disputate contro i campioni d’Europa».
EMOZIONE. E pure stavolta sarà come sempre, sentirà addosso gli occhi dello stadio, ch’è il suo, nel quale ha avvertito le carezze amichevoli ma anche il fruscio della contestazione, osserverà il mondo con gli occhi enormi e sognanti di un fanciullo, e prima che spariscano le emozioni, vada come va, s’affaccerà nel proprio vissuto, lo solcherà con la sua natura irriverente, inseguirà un tiro a giro, una parabola, un tunnel o semplicemente un dribbling, qualcosa che stia tra Diego e Messi, che riporti semplicemente a Insigne, che demolisca qualsiasi freno inibitore, perché la paura è una sconosciuta.