Corriere dello Sport

Chi si rivede? Attila

Il ds venuto da Siviglia venne, vide e smontò Ma un piano B l’aveva: filarsela prima possibile

- di Giancarlo Dotto

«Dici davvero? Dico davvero, Siviglia!». Malandro come pochi il sorteggio di Nyon. Di più, perverso. Al fondo del suo dimenticab­ile arcobaleno gialloross­o, James Pallotta ritrova Monchi.

“Dici davvero? Dico davvero, Siviglia!”. Malandro come pochi il sorteggio di Nyon. Di più, perverso. Al fondo del suo dimenticab­ile arcobaleno gialloross­o, James Pallotta trova la pentola d’oro di Dan Friedkin ma anche la smunta faccia da sorcino di Monchi, “il peggior affare della mia vita” lo ha definito il bostoniano con una sentenza che equivale a una lettera scarlatta. Come confida ai suoi intimi sparsi nel mondo e al suo sodale sparso a Londra, Pallotta se ne va con la coda tra le gambe. Il grande rammarico di una spedizione partita a Trigoria con un boato e finita nel deserto con un gemito. Non si capacitava James di andarsene così, senza lo stadio ma senza nemmeno un frammento di coppa o un brandello di cuore. “L’unico insuccesso della mia vita”, il sospiro di James ha la vibrazione del ringhio.

Andarsene, a questo punto, timbrando un calcio nel sedere a colui che considera uno dei maggiori responsabi­li della sua storia fallata all’ombra del Colosseo sarebbe almeno un bonbon, una mediocre ma accettabil­e soddisfazi­one. Viceversa, la Roma di Petrachi eliminata dal Siviglia di Monchi sarebbe il suggello, l’opera compiuta da Belzebù in persona. Colpita e affondata nell’unica competizio­ne che potrebbe dare ancora un senso alla stagione della Lupa. Il capolavoro di Ramon Rodriguez Verdejo, il non troppo bel tenebroso di Andalusia, appena smentito da una vocina che inclina allo squittio (ma capitava anche a Marlon Brando e non per questo ha mai smesso di essere Brando). Sarebbe il finale più amaro con annesso attacco di fegato per James, l’ultimo prima di dirsi ex, e forse mai stato, romanista. Troppo anche per lui.

Tanto idilliaca l’accoglienz­a, quanto velenoso l’addio. Pallotta andò giù duro. «Mi sono fidato di Monchi, gli avevo consegnato le chiavi per costruire un top club. Quando le cose andavano male gli chiesi se avesse un piano B. Non aveva un piano B…». In realtà ce l’aveva, eccome, squagliars­ela il prima possibile da un luogo diventato ostile e tornare nella sua mamma Siviglia a colpi di nacchere. Al netto di tutte le cerimonie e i salamelecc­hi, l’imbarazzo sarà corposo tra l’andata e, soprattutt­o, il ritorno. Assente per definizion­e, James masticherà da lontano la sua sete di vendetta.

Monchi arrivò a Roma con le stimmate e anche il sembiante del profeta. Preceduto da una solida fama, a dire il vero circoscrit­ta alle strombazza­te imprese di Siviglia, fu il primo a sorprender­si di trovare tanta gente genuflessa ai suoi piedi. “Non mi avranno confuso con un altro?” era il suo retro, esplicito pensiero.

La sua voce, già pigolante di suo, si fece ancora più incerta, al cospetto di qualunque microfono. Lo spedirono al massacro nella liquidazio­ne di Francesco Totti e lui si applicò con l’eroico candore di un Forrest Gump. Lo “scusate se esisto” dei primi tempi diventò poco a poco “vi scuso se non esistete”, secondo la parabola della flessibile psiche umana. Sta di fatto che Monchi sguainò lo spadone e il resto lo sapete. Cessioni strazianti e acquisti, per diversi motivi. non meno strazianti. “Vuoti a perdere truccati da calciatori in attività”, la definizion­e feroce di un suo brillante collega. Monchi non sapeva nulla di Roma e Roma fingeva di sapere tutto di Monchi. Liquidarlo come un calpestabi­le inconvenie­nte fu facile quanto celebrarlo come una divinità. Nel frattempo, era troppo tardi. Monchi aveva venduto tra gli altri Salah, Alisson, Rüdiger, Paredes, Emerson Palmieri e aveva comprato Moreno, Schick, Pastore, Gonalons, Defrel e Karsdorp. Arrivarono Marcano e Santon, Bianda e Coric, L’ultimo strappo, il Ninja, quello sì un pezzo di cuore della Roma romanista. Sbattuto via come un appestato, oggi a Cagliari manca poco che gli fanno la statua al Poetto. Sì, arriva Zaniolo. Monchi, a dire il vero, voleva Radu il portiere, un bel portiere (farà il secondo al Parma), gli tocca invece il ragazzo dell’Inter. Ci aveva visto giusto con Ziyech, ma dirottò su Pastore. A Londra, sponda Chelsea, hanno una grande opinione di Monchi. Sì, è vero, prese anche Kolarov e Ünder. Succede.

Succede anche che Walter Sabatini diventò, col Monchi di poi, il più grande direttore sportivo della storia della Roma. Io e tanti altri non avevamo bisogno della prova andalusa per saperlo. Walter vendeva perché doveva e comprava perché sapeva. Lasciarlo andare fu forse il suicidio vero di James Pallotta in un mare di autolesion­ismi assortiti. Nella testa dei romanisti il profilo di Monchi si sovrappose a quello di Attila. La distruzion­e. La Roma svuotata di tutto, di luce, di allegria, di talento. Monchi si lega a triplo filo a Di Francesco, altra notevole mestizia fatta allenatore, nel suo caso con aggiunta attitudine a battersi il petto e a cospargers­i di cenere (inclinazio­ne sconosciut­a a Monchi). Pallotta ha covato, masticato, poi, com’è nella sua natura, è esploso. Ma Monchi era già lontano dall’area di rischio. Nemmeno un’abrasione. Ora, il piatto della vendetta. O dello sprofondo.

L’unico risultato dello spagnolo è stato ingigantir­e la figura di Sabatini

 ??  ??
 ??  ??
 ?? ANSA ?? Monchi, 51 anni
ANSA Monchi, 51 anni

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy