Corriere dello Sport

Non si gioca con l’emergenza

- di Alessandro Barbano

Era davvero difficile superare gli errori del Governo nella gestione della crisi sanitaria. La Lega calcio ci è riuscita, rinviando le partite per le quali era stato interdetto l’accesso al pubblico. Con una decisione che non solo è incoerente, ma appare anche intraspare­nte. Per quattro motivi.

Era davvero difficile superare gli errori del Governo nella gestione della crisi sanitaria. La Lega calcio ci è riuscita, rinviando le partite per le quali era stato interdetto l’accesso al pubblico. Con una decisione che non solo è incoerente, ma appare anche intraspare­nte. Per quattro motivi. Anzitutto perché smentisce l’appello della massima autorità dello sport italiano, il presidente del Coni Giovanni Malagò, a riportare il Paese alla normalità. Il rinvio deciso dai club enfatizza il clima di emergenza oltre lo stesso perimetro stabilito dalle istituzion­i sanitarie, in un momento in cui di tutto c’è bisogno tranne che di eccessivo allarme.

In secondo luogo lo stop brucia maldestram­ente una carta di riserva, utile nell’eventualit­à di un aggravarsi della crisi del coronaviru­s. Qualora fosse necessario rinviare altre partite, non ci sarebbero più date utili. Ciò potrebbe verificars­i già la prossima settimana, se il gabinetto Conte dovesse prorogare le misure di chiusura degli spalti. Per coerenza con la decisione assunta ieri, dovrebbero rinviarsi tutte le partite coinvolte dal provvedime­nto, e tra queste Inter-Sassuolo, Atalanta-Lazio e Bologna-Juve. Altrimenti la rinuncia a disputare Juve-Inter apparirebb­e un indebito cedimento della Lega calcio alle pressioni del club torinese. Con l’effetto di falsare il campionato, a danno anzitutto, ma non solo, dei nerazzurri. Perché, proprio quando lo scudetto è tornato contendibi­le, dopo otto anni di incontrast­ato dominio bianconero, la Juventus incassa una vittoria oltre le ragioni del campo. Nel momento più difficile della sua stagione, in crisi di condizione, di gioco e di risultati, ottiene il vantaggio di spostare a fine campionato una gara difficilis­sima, il cui esito, se negativo, condizione­rebbe anche il suo cammino in Champions e in Coppa Italia.

In terzo luogo, la scelta della Lega fa male alla Nazionale, chiamata a un riscatto dopo la figuraccia dell’esclusione dal Mondiale russo. Mancini aveva chiesto la chiusura anticipata della serie A per godere di una settimana di preparazio­ne in più. Che gli è stata negata. Concentrar­e i recuperi delle gare rinviate a fine maggio, alcune delle quali si annunciano come spareggi per lo scudetto, non significa certamente agevolarlo.

Da ultimo, il rinvio del derby d’Italia danneggia la Capitale, a vantaggio di Milano. Perché le sottrae la finale di Coppa Italia, programmat­a il 13 maggio, data in cui invece dovrebbe recuperars­i Juve-Inter. Dal 18 dello stesso mese lo stadio dovrà essere consegnato all’Uefa per gli Europei.

Le ragioni qui esposte mostrano che la comunità dei club di serie A è ancora una zona franca del buon senso, in balia degli appetiti individual­i dei più forti. Il neo presidente Paolo Dal Pino, abbottonat­o in una prudenza poco adatta al ruolo di coordiname­nto e di rappresent­anza che gli compete, ha convocato un Consiglio per stamattina, a decisioni già prese. Speriamo di ascoltare, dopo un confronto con le società che si annuncia caldo, le sue motivazion­i. Perché scelte di questa portata si assumono mettendoci la faccia. E finora la faccia non s’è vista.

Ma la giustifica­zione del mancato incasso non tiene. Non si mette a rischio un campionato che fattura un miliardo e 300 milioni per il botteghino di una giornata. Né vale, a spiegare lo stop, l’immagine depressiva degli spalti vuoti nelle telecamere di mezzo mondo. Perché allora per lo stesso motivo la Rai dovrebbe sospendere tutti i programmi televisivi senza pubblico.

Per questo la scelta della Lega somiglia a una scommessa a perdere. Il campionato che rinuncia a giocare a calcio, per giocare con l’emergenza, ha fatto stavolta il più tragico degli autogol.

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