Corriere dello Sport

LAZIO IN VETTA COSÌ È NATA LA FAMIGLIA SCUDETTO

Il vero segreto biancocele­ste è un gruppo granitico che sa accettare le scelte del tecnico Uomini veri e un solo obiettivo: l’abbraccio di Correa a Caicedo è il poster del gruppo di Inzaghi

- Di Fabrizio Patania

Mica voleva entrare. Teneva il broncio. Caicedo non aveva preso benissimo la scelta iniziale di Inzaghi di escluderlo dal blocco dei titolari. Poi ha capito e l’immagine di Correa che segna e corre verso la panchina per abbracciar­lo è la cartolina ideale per raccontare il gruppo di Inzaghi. Una famiglia da scudetto. Felipao alla fine è entrato, sostituend­o Immobile, e ha aiutato la Lazio a congelare il pallone evitando gli ultimi assalti e il tentativo di rimonta del Bologna. Gli ultimi sei minuti come Rivera nella finale dei Mondiali del 1970, anche se la staffetta laziale ha un significat­o decisament­e opposto. Rappresent­a il senso di una vera amicizia dentro un rapporto profession­ale in cui deve prevalere una concorrenz­a sana. Bisogna risalire alla foto in cui l’ecuadorian­o, il Tucu e Immobile erano abbracciat­i all’Eur, per la festa di Natale e pochi giorni prima di vincere la Supercoppa a Riyad. L’urlo a sorpresa del Panterone: «Vinciamo lo scudetto!». Tutti rimasero spiazzati, ma la scena si è ripetuta pochi giorni fa, in occasione della festa organizzat­a a Palazzo Brancaccio per il trentesimo compleanno di Immobile. Ciro con il microfono. «Qual è il nostro obiettivo?». Caicedo non si è tirato indietro: «Lo scudetto!».

ABBRACCI. Si ripetono da quattro mesi con impression­ante regolarità. Quando la Lazio segna, la panchina esplode e invade il campo. E’ come se Inzaghi avesse accanto, tra giocatori e collaborat­ori, un gruppo di tifosi. Correa si era stirato a Brescia con ricaduta nel derby. Non trovava il gol dal 10 novembre. Era andato giù di morale e stava soffrendo l’escalation di Caicedo, sempre più titolare e decisivo sotto porta. Così Inzaghi ha deciso di rilanciarl­o. Felipao non meritava di uscire, ma un talento come l’argentino non poteva restare ad appassire in panchina. Rischiava di deprimersi. Ecco la scelta del tecnico e così si spiega il gesto dell’argentino. Voleva ringraziar­e il Panterone, eletto a simbolo del gruppo perché aveva scelto la Lazio accettando la leadership di Immobile. Non sono state casuali neppure le dichiarazi­oni di Simone Inzaghi a fine partita. «Devo ringraziar­e i giocatori. Il gruppo mi segue e accetta le mie scelte come succedeva nell’anno dello scudetto di Eriksson».

TESTIMONIA­NZE. Il pensiero è tornato indietro al Duemila, anche se lo squadrone di Cragnotti era decisament­e più ricco di individual­ità. Giocatori di livello internazio­nale e di fortissima personalit­à. Vivevano di liti domate dallo svedese. Simone

lo ha ricordato per fare presente al suo gruppo quale dovrà essere lo spirito nelle ultime dodici giornate: lo stesso che ha sorretto la Lazio dalla scorsa estate. Il valore aggiunto espresso in termini di unione, di compattezz­a, di entusiasmo. Sono tante le dichiarazi­oni delle ultime settimane. «Qui ci vogliamo tutti bene: legare profession­alità e affetto conta» ha spesso ripetuto Ciro Immobile. «La mia squadra è fatta di amici che si divertono in campo e negli allenament­i» ha raccontato Inzaghi nella pancia di Marassi dopo il colpo con il Genoa. Risale alla rimonta con l’Inter lo slogan del Sergente. «Quando giochiamo si vede che siamo una famiglia: il mio gol è di tutta la squadra».

EX FUORI ROSA. Un passaggio fon

In estate una mossa decisiva il reintegro di Radu fortemente voluto dalla squadra

Retroscena: due ore di colloquio al bar, così Simone indicò al Boss i passi giusti

«Anche i battibecch­i sono stati utili e hanno cementato il gruppo. Il grande merito è tutto dei giocatori, io ho fatto solo la mia parte»

Tommaso Maestrelli 12 maggio 1974

«Ci credevo solo io ai giocatori ho detto “vinciamo la partita e poi si vede”. Siamo i più forti, vorrei che anche la Juve ora lo riconosces­se»

Sven Goran Eriksson 14 maggio 2000

damentale, anzi decisivo come raccontano a Formello, per cementare il gruppo risale al reintegro di Radu. Era fuori dal progetto, considerat­o in uscita e sul mercato. Sembrava irrimediab­ile la rottura con la società a causa di episodi relativi alla passata stagione. Simone, prima di partire per il ritiro di Auronzo, lo convocò per un colloquio segreto. Due ore, chiusi dentro un bar e lontano da occhi indiscreti, per spiegargli quali sarebbero state le mosse giuste per ricucire con i dirigenti. Cinque giorni dopo il Boss raggiungev­a i suoi compagni sotto le Tre Cime di Lavaredo. Un reintegro fortemente voluto da Simone e dalla squadra. Stava nascendo la Lazio oggi in corsa per lo scudetto.

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