LAZIO IN VETTA COSÌ È NATA LA FAMIGLIA SCUDETTO
Il vero segreto biancoceleste è un gruppo granitico che sa accettare le scelte del tecnico Uomini veri e un solo obiettivo: l’abbraccio di Correa a Caicedo è il poster del gruppo di Inzaghi
Mica voleva entrare. Teneva il broncio. Caicedo non aveva preso benissimo la scelta iniziale di Inzaghi di escluderlo dal blocco dei titolari. Poi ha capito e l’immagine di Correa che segna e corre verso la panchina per abbracciarlo è la cartolina ideale per raccontare il gruppo di Inzaghi. Una famiglia da scudetto. Felipao alla fine è entrato, sostituendo Immobile, e ha aiutato la Lazio a congelare il pallone evitando gli ultimi assalti e il tentativo di rimonta del Bologna. Gli ultimi sei minuti come Rivera nella finale dei Mondiali del 1970, anche se la staffetta laziale ha un significato decisamente opposto. Rappresenta il senso di una vera amicizia dentro un rapporto professionale in cui deve prevalere una concorrenza sana. Bisogna risalire alla foto in cui l’ecuadoriano, il Tucu e Immobile erano abbracciati all’Eur, per la festa di Natale e pochi giorni prima di vincere la Supercoppa a Riyad. L’urlo a sorpresa del Panterone: «Vinciamo lo scudetto!». Tutti rimasero spiazzati, ma la scena si è ripetuta pochi giorni fa, in occasione della festa organizzata a Palazzo Brancaccio per il trentesimo compleanno di Immobile. Ciro con il microfono. «Qual è il nostro obiettivo?». Caicedo non si è tirato indietro: «Lo scudetto!».
ABBRACCI. Si ripetono da quattro mesi con impressionante regolarità. Quando la Lazio segna, la panchina esplode e invade il campo. E’ come se Inzaghi avesse accanto, tra giocatori e collaboratori, un gruppo di tifosi. Correa si era stirato a Brescia con ricaduta nel derby. Non trovava il gol dal 10 novembre. Era andato giù di morale e stava soffrendo l’escalation di Caicedo, sempre più titolare e decisivo sotto porta. Così Inzaghi ha deciso di rilanciarlo. Felipao non meritava di uscire, ma un talento come l’argentino non poteva restare ad appassire in panchina. Rischiava di deprimersi. Ecco la scelta del tecnico e così si spiega il gesto dell’argentino. Voleva ringraziare il Panterone, eletto a simbolo del gruppo perché aveva scelto la Lazio accettando la leadership di Immobile. Non sono state casuali neppure le dichiarazioni di Simone Inzaghi a fine partita. «Devo ringraziare i giocatori. Il gruppo mi segue e accetta le mie scelte come succedeva nell’anno dello scudetto di Eriksson».
TESTIMONIANZE. Il pensiero è tornato indietro al Duemila, anche se lo squadrone di Cragnotti era decisamente più ricco di individualità. Giocatori di livello internazionale e di fortissima personalità. Vivevano di liti domate dallo svedese. Simone
lo ha ricordato per fare presente al suo gruppo quale dovrà essere lo spirito nelle ultime dodici giornate: lo stesso che ha sorretto la Lazio dalla scorsa estate. Il valore aggiunto espresso in termini di unione, di compattezza, di entusiasmo. Sono tante le dichiarazioni delle ultime settimane. «Qui ci vogliamo tutti bene: legare professionalità e affetto conta» ha spesso ripetuto Ciro Immobile. «La mia squadra è fatta di amici che si divertono in campo e negli allenamenti» ha raccontato Inzaghi nella pancia di Marassi dopo il colpo con il Genoa. Risale alla rimonta con l’Inter lo slogan del Sergente. «Quando giochiamo si vede che siamo una famiglia: il mio gol è di tutta la squadra».
EX FUORI ROSA. Un passaggio fon
In estate una mossa decisiva il reintegro di Radu fortemente voluto dalla squadra
Retroscena: due ore di colloquio al bar, così Simone indicò al Boss i passi giusti
«Anche i battibecchi sono stati utili e hanno cementato il gruppo. Il grande merito è tutto dei giocatori, io ho fatto solo la mia parte»
Tommaso Maestrelli 12 maggio 1974
«Ci credevo solo io ai giocatori ho detto “vinciamo la partita e poi si vede”. Siamo i più forti, vorrei che anche la Juve ora lo riconoscesse»
Sven Goran Eriksson 14 maggio 2000
damentale, anzi decisivo come raccontano a Formello, per cementare il gruppo risale al reintegro di Radu. Era fuori dal progetto, considerato in uscita e sul mercato. Sembrava irrimediabile la rottura con la società a causa di episodi relativi alla passata stagione. Simone, prima di partire per il ritiro di Auronzo, lo convocò per un colloquio segreto. Due ore, chiusi dentro un bar e lontano da occhi indiscreti, per spiegargli quali sarebbero state le mosse giuste per ricucire con i dirigenti. Cinque giorni dopo il Boss raggiungeva i suoi compagni sotto le Tre Cime di Lavaredo. Un reintegro fortemente voluto da Simone e dalla squadra. Stava nascendo la Lazio oggi in corsa per lo scudetto.