«Stop tasse nel basket»
Toti (Roma): «Altrimenti il movimento va a picco»
Se per il calcio la decisione del governo di escludere il pubblico dagli eventi sportivi si è rivelata pesantissima, per il basket si sta trasformando in una sorta di tragedia economica. Il calcio ormai da anni va avanti grazie ai ricchi contratti televisivi, la pallacanestro vive di sponsor e di incassi. Ecco perché gli incontri a porte chiuse potrebbero mettere in grosse difficoltà i club di serie A e A2.
Claudio Toti, da venti anni proprietario della Virtus Roma, è uno di quei presidenti che oggi, oltre ad affrontare il campionato senza sponsor con tutte le difficoltà che ne conseguono, deve anche fare a meno degli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti. La Virtus sta lottando per non retrocedere nell’anno del suo ritorno in A, ha cambiato un paio di americani (Moore e Dyson) chiamando in soccorso il veterano White e il neozelandese Webster, sbarcato nella Capitale proprio ieri. E adesso sabato, nella partita di cartello contro Sassari, vedrà le tribune del PalaEur vuote.
Ingegner Toti, quali potrebbero essere secondo lei le misure più efficaci per arginare le crisi del basket nella situazione eccezionale che ha portato il governo a imporre le porte chiuse per tutte le manifestazioni sportive?
«La sospensione del pagamento delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali da parte delle nostre società. Fino a quando? Il problema è molto serio.
Come spiegato nel comunicato della Lega di inizio settimana, ci riserviamo di aprire un tavolo tecnico. Perché non possono pensare che il campionato vada avanti con partite a porte chiuse. Sarebbe un danno economico che oggi le società non sarebbero in grado di sopportare. Quale potrebbe essere una soluzione? Ancora non si è capito. Perché se non si trovano le date per recuperare gli incontri saltati, se non si sa quando finirà l’emergenza per il Coronavirus, vivremo alla giornata. Per questo dico: nel momento in cui c’è una grossa crisi, gli sponsor tengono a non pagare, forti anche loro della crisi, e venendoci a mancare i ricavi dal pubblico, dobbiamo cercare delle contromisure che ci permettano di non far fallire i club: anche questi rappresentano una attività economica. Dunque, finché non si riapriranno scenari più chiari, si dovrebbero sospendere ritenute fiscali e previdenziali. La Federazione Pallacanestro in questo senso ci sta appoggiando, tanto è vero che il presidente Petrucci ha avanzato la proposta al governo. E poi la Fip quanto meno ha già sospeso il pagamento del bollettino Freccia. Ma questo discorso vale anche per il versamento dell’Iva. Perché, ad esempio se io ho fatto una fattura di un fornitore che non mi paga, non posso versare l’Iva non avendo neppure preso i soldi». Conviene comunque che quello che conta prima di ogni altro problema è la saluta di tutti, vero?
«Certo, è la cosa più importante. Se si fossero giocate alcune partite a porte aperte e altre a porte chiuse, si sarebbe falsata la regolarità del campionato». Lei ha anche un altro timore, vero? «Sì, ho paura che possano nascere dei problemi con giocatori che non vogliono disputare incontri in alcune località (quelle più colpite dal virus, ndr). Io questo l’ho fatto presente nell’ultima riunione della Legabasket. Jason Clark infatti proprio per il Coronavirus ha lasciato Varese. Se domani un americano dovesse dirmi “Io non parto, perché in quella città ho paura di ammalarmi”, come dovrei comportarmi. Obbligarlo? E se lui non volesse partire, dovrei cacciarlo?». Il problema economico è acuito anche da accordi televisivi decisamente poco confortanti (eufemismo) per i club di serie A, non crede?
«Il basket, secondo sport nazionale, ha poca visibilità televisiva e per tanto riceve contributi tv irrisori: non può fare a meno dei ricavi da biglietteria».
«Abbiamo poca visibilità, così i contratti televisivi sono irrisori»
«Se un americano rifiuta una trasferta per paura del virus, cosa devo fare?»