«Le mascherine? Un gesto forte»
- Un gesto simbolico forte, impattante, che può aiutare a riflettere. Un gesto che, tramite tivvù, inizialmente è entrato nella case non di tutti gli italiani, ma solo di quelli a cui interessava una partita di serie B dall’esito scontato, cioè Benevento-Pescara (per la cronaca 4-0 per la capolista), ma poi, come un catarifrangente, è stato spammato ovunque diventando la prima protesta di una squadra di calcio italiana “costretta” a giocare nonostante l’emergenza Coronavirus. L’ha fatta il Pescara, con i giocatori biancazzurri che sono scesi in campo (prima abbondantemente inquadrati dalle telecamere di Dazn nel sottopassaggio) con le mascherine protettive in volto. Hanno fatto l’ingresso, hanno salutato il pubblico che non c’era e poi le hanno tolte, perdendo tranquillamente la partita. Ma questo diventa un fatto secondario, visto che prima conta la salute e gli abruzzesi hanno voluto testimoniare come il loro grido d’aiuto, nei giorni precedenti, fosse rimasto inascoltato. Eh sì, perché si dà il caso che nella settimana precedente alla gara gli uomini di Nicola Legrottaglie siamo rimasti falcidiati dall’influenza e la stessa società ha avvertito il numeri di emergenza 1500, i vari 118, ha scritto anche una lettera alla Lega, ma... nessuno si è fatto vivo per controllare. Da qui la decisione di “farsi notare”, come in effetti è stato. Dopo la partita lo ha spiegato lo stesso allenatore adriatico. «La scelta di scendere in campo con le mascherine era per dare un segnale a tutti, per dire che abbiamo altre priorità, cioè la vita. È stranissimo che noi, negli ultimi giorni, abbiamo avuto ben tredici casi di influenza in squadra e, sebbene avessimo avvisato chi di dovere, non ci hanno fatto neanche un tampone... Noi con questo gesto abbiamo voluto significare che il problema c’è e che forse si sta sottovalutando».
Legrottaglie, è risaputo, ha una sensibilità particolare per certi argomenti, il fatto che sia stato da calciatore un Atleta di Cristo e che anche da allenatore abbia mantenuto la stessa etica probabilmente lo ha incentivato ad attuare questo gesto eclatante e non invasivo (tra l’altro sposato in toto da tutti i calciatori), ma il fine ultimo era quello di sensibilizzare l’intera categoria, composta da uomini e non da marionette. «Se si sospenderanno i campionati forse sarà giusto – ha concluso – io credo che chi ama la vita sia d’accordo nel fermare i campionati, mentre chi ama i soldi forse sarà contrariato».
«Abbiamo avuto tredici influenzati, ma non è stato fatto nessun tampone»