Corriere dello Sport

Scopriamo il mondo di Friedkin

Tra i manager della Toyota e la gente del suo quartiere: «Dan ama Roma»

- di Massimo Basile

Qui il miracolo non è il genere umano, ma il fatto che sia nata una città. Sei quartieri in cerca di un centro, in mezzo al niente, l’estate nove mesi l’anno, l’inferno da attraversa­re in auto lungo strisce di asfalto chiaro circondato da case basse e uno sterminato deserto. Houston è più ricca di Boston, più grande di Miami, più multietnic­a di New York e aperta di Dallas, ma più chiusa di almeno cinquanta città. La gente se ne sta in casa, in un silenzio rurale, chiusa in auto, dietro una porta a vetri e non ti apre, anche se vede che ci sei. Poi, improvvisa­mente, c’è questo posto, al lato di un lungo e monumental­e viale di querce e gigli: una villa in stile coloniale, due piani, mattoni bruni in finto stile Tudor. E i cancelli: aperti. Ma aperti non rende l’idea. Sono spalancati e inno Qui, a Houston. Dove le ville sono nascoste dagli alberi e cancelli enormi, dove per entrare in qualsiasi posto pubblico devi superare il controllo della security, dove se ti perdi in un parcheggio c’è subito l’agente che sbuca dal nulla, ti ferma e dice: dove sta andando? Ecco. Qui, invece, c’è questo cancello di ferro lavorato, spalancato in un modo così california­no, come se dicesse cosa fai? vuoi entrare? da renderne l’accesso inviolabil­e. A trovarlo chiuso, avremmo suonato. Aperto in questo modo, è impossibil­e. Un cordiale invito a non approfitta­re della gentilezza altrui, anche perché qui c’è il dettaglio delle leggi sulla violazione della privacy: sono severe.

«WOOOW». Se c’è una chiave per capire chi sia davvero Dan Friedkin, l’uomo designato a rilevare la As Roma da James Pallotta per oltre 700 milioni, e provare a capire cosa i romanisti dovranatte­ndersi, è partire proprio da qui, da quella che i ricchi vicini indicano come la libera e democratic­a dimora della famiglia, nel parco di River Oaks, a ovest di Houston, tra querce spagnole, ciliegi e ginepri vecchi di due secoli. Si trova vicino al Country club, circolo di tennis dove bastano 700 dollari al mese per farne parte, ma 75 mila di quota d’ingresso, nel caso ci aveste fatto un pensierino. Del Monte driver. River Oaks boulevard. Il Memorial Park. Se Houston è davvero l’inferno, qualcuno ha cambiato le carte nella notte. «Dan è un ragazzo in gamba - commenta una signora sui settant’ancustodit­i. ni, abito lungo e leggero - come dice? Comprerà una squadra di calcio in Italia? Wooow. Mi raccomando, parli bene di questo posto». Da qui, ogni mattina presto, Friedkin esce in auto e si avvia al suo quartier generale, a venti minuti di distanza, passando attraverso un labirinto di strade residenzia­li, prati all’inglese e ville art deco, che poi aprono alla zona di Enclave Parkaway, dove si trovano gli uffici del The Friedkin Group. Il guardiano della security, all’ingresso della base della Toyota, dice di conoscere Friedkin, ma solo vagamente, e di sapere zero della Roma. Non lo pagano per parlare agli sconosciut­i. Il punto è che, alla fine, girando questa “non città” da oltre due milioni di abitanti, la sensazione è che nessuno conosca davvero Dan, nonostante sia uno dei trenta miliardari più ricchi del Texas, stato del sud con un prodotto interno lordo più grande di quello della Svezia, nonostante i quasi quattro miliardi di dollari di patrimonio e la recente notorietà derivata dall’aver portato in Usa “Parasite”, il film trionfator­e agli Oscar di Hollywood. Questa educata indifferen­za può essere stata la fortuna della Roma.

SCONOSCIUT­O. «Se non sbaglio, provò a comprare gli Houston

Rockets di basket nel 2017, ma non so altro». Reid Laymance è il responsabi­le dello sport per il quotidiano Houston Chronicle. La sua non è subdola reticenza: non sa proprio chi sia il futuro Mister Roma, lo chiede agli altri responsabi­li di settore, che si chiamano Al Lewis, Michela Garcia, Jim Pinkerton, lavorano all’economia e alla breaking news. «Mi dispiace, Friedkin è un tipo riservato con la stampa... non saprei, forse non ci faccio un figurone», chiude Laymance. Lo Houston sembra privo di adrenalina. Se vuoi segnalare una notizia, spiegano, non ti passano il redattore, ma ti fissano un appuntamen­to, come in uno studio medico. Ritmi da settimanal­e ma il motivo, forse, sono anche gli uffici della redazione: grandi, spaziosi, il pavimento in parquet di quercia, sembra il MoMa di New York. Voglia di uscire, non ne hai. Anche perché o trovi il caldo o incontri un rapido mon

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L’ingresso dell’aeroporto internazio­nale Bush di Houston: omaggio allo sbarco sulla luna

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