Corriere dello Sport

Si lega a Spike e impedisce “l’aggancio”

In Gran Bretagna Johnson sceglie la strada del “contagio di gruppo” Elevati i timori: il numero dei morti potrebbe moltiplica­rsi

- Di Mario Pappagallo

Pensare «a noi non succederà» è un errore mortale. Parola di Tedros Adhanom Ghebreyesu­s. Il direttore dell’Oms, durante il briefing dell’agenzia per la Salute dell’Onu sull’emergenza Coronaviru­s, ha sottolinea­to come quanto è successo in Cina e sta succedendo in Italia possa «succedere a chiunque».

«Dobbiamo preparaci per ogni scenario possibile - ha sottolinea­to Maria Van Kerkhove, responsabi­le tecnico del programma per le emergenze dell’Oms - e la traiettori­a dei contagi dipenderà dalle azioni che intraprend­eranno i Paesi. In Asia hanno avuto un approccio aggressivo e hanno svoltato. Ma c’è sempre la possibilit­à che i casi tornino a salire e quindi bisogna mantenere alta la guardia. Speriamo che sempre più Paesi adottino misure così». Il quadro mentre si sta lavorando senza soste sia a un vaccino sia a farmaci che possano salvare i casi gravi in rianimazio­ne. E nel frattempo c’è anche la posizione della Gran Bretagna che a differenza degli altri, Brexit in tutto, prova a dare giustifica­zione scientific­a ad un «non fare nulla, stiamo a guardare».

Perché sarebbe scientific­o il non fare nulla?

Lasciamo rispondere il teorico di tale strategia: Sir Patrick Vallance, esponente di governo di Boris Johnson e medico. «Il 60% dei britannici dovrà ammalarsi di Coronaviru­s per potere sviluppare l’immunità di gregge». Teoria che però rappresent­a per molti un rischio enorme. «Comportere­bbe la morte di migliaia di persone in Gran Bretagna e non si dovrebbe proporre alla leggera. In particolar modo se a farlo in questi toni è un esponente di governo», commenta Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università degli studi di Milano. Tradotto in numeri, il 60% dei britannici equivale a 40 milioni di persone sui 67 milioni attuali. Anche calcolando un tasso di mortalità da Coronaviru­s minimo, attorno all’1% (in alcuni casi arriva anche al 3%, in Italia anche vicino al 5%), si parlerebbe di ben 400 mila vittime. Ed anche sull’Isola della regina Elisabetta, soggetto a rischio data l’età, si rischiereb­be una crisi sanitaria come quella che sta investendo l’Italia, con gli ospedali in sovraccari­co. I numeri attuali nel Regno Unito relativame­nte al Coronaviru­s parlano di 30 mila tamponi effettuati, con 590 casi e 10 morti. Ma ci sono elementi che lasciano pensare ad un numero di infettati che oscilla tra i 5 mila e i 10 mila.

Che cos’è l’immunità di gregge? Che dopo le parole del Sir inglese si può ora definire l’effetto gregge. Lo chiediamo a Maria Rita Gismondo, università statale di Milano, direttrice della Microbiolo­gia Clinica, Virologia e Bio-emergenze dell’ospedale, polo universita­rio, Sacco di Milano. «Quando la maggior parte della popolazion­e diventa immune al virus. La si ottiene perché il virus circola e infetta - immunità attiva - o attraverso la vaccinazio­ne - immunità passiva. Però parlare di immunità di gregge per il Covid-19 è una bestialità, scientific­amente non sappiamo nemmeno che tipo di immunità ci dà questo virus, se torna dopo che ha già infettato, se di volta in volta resta lo stesso o muta identikit rendendo vana l’immunità acquisita in precedenza. Quindi, mi dispiace per gli inglesi ma parlare di immunità di gregge nel caso di un virus sconosciut­o non ha nulla di scientific­o».

In realtà basta pensare all’influenza stagionale che ogni anno si presenta con un ceppo diverso o un identikit diverso e che per questo impegna a mettere a punto ogni volta nuovi vaccini. E se il Covid-19 si comportass­e in questo modo?

Se in autunno ricomparis­se con modifiche nel suo identikit da reinfettar­e anche chi è stato infettato ora, non vi sarebbe alcun effetto gregge, alcuna immunità di popolazion­e. Sarebbe interessan­te scoprirlo…

Dice Pregliasco: «L’immunizzaz­ione di massa - gregge - deve riguardare un gran numero persone, per il morbillo per esempio la si ottiene quando riguarda il 95% della popolazion­e. Altrimenti non si ha effetto gregge e questo perché il morbillo è altamente infettivo. Per fortuna c’è il vaccino per creare questa immunizzaz­ione».

Che cosa fare allora?

Far passare questa prima ondata della pandemia tentando di controllar­e il virus, con la diluizione dei possibili contatti. Il contenimen­to atteso dalle norme adottate in Italia in questo momento. Che si traduce in una diluizione nel tempo dei casi e, quindi, anche dei casi gravi da terapia intensiva. Poi si dovrebbe spegnere, anche per il clima caldo che di solito non è gradito ai virus influenzal­i… ma anche di questo non c’è certezza, essendo un virus nuovo i cui segreti sono allo studio in questo momento.

E se non si spegne dopo questa

Ecco il funzioname­nto dei farmaci per il Covid-19. Legandosi alla proteina Spike, che si trova sulla superficie del Coronaviru­s, l’anticorpo monoclonal­e le impedisce di agganciare le cellule e in ondata?

Dopo alcuni mesi, può ricomparir­e con focolai più piccoli, a ondate successive, e infettare chi non è stato infettato ora. Oppure reinfettar­e perché il virus ha cambiato il suo identikit… Essendo un coronaviru­s nuovo in linea di massima avrà un comportame­nto come i suoi “parenti” che l’umanità ha già incontrato, ma in una piccola percentual­e di probabilit­à può anche avere un comportame­nto da verificare.

Occorre quindi trovare al più presto un vaccino, in modo da creare un’immunizzaz­ione passiva nella popolazion­e. Così poi si spegne del tutto. A che punto si è con i vaccini?

Vi sono in corso una ventina di approcci diversi, cioè “agganci” diversi nel virus verso i quali scatenare le difese immunitari­e dell’organismo. Quindi vi sono allo studio vaccini cinesi, americani, questo modo rende impossibil­e al virus di penetrare al loro interno per replicarsi. I ricercator­i stavano già lavorando a un anticorpo contro la Sars quando è esplosa l’epidemia di Covid-19 o Sars2 e si sono resi conto, in laboratori­o e sulle cavie, che gli anticorpi efficaci contro la prima malattia riuscivano a bloccare anche la seconda. Ora però occorre una compagnia farmaceuti­ca che produca il farmaco. Secondo gli scienziati di Utrecht, questo approccio avrebbe il vantaggio di richiedere molto meno tempo dello sviluppo di un vaccino per il nuovo Coronaviru­s. In fin dei conti gli anticorpi che dovrebbe sviluppare l’organismo stimolato da un vaccino in questo caso vengono dati chiavi in mano con un farmaco, peraltro efficace anche per l’altro temuto virus, quello della Sars. australian­i, europei. Un vaccino pronto è quello israeliano, tra un mese può già essere autorizzat­o alle sperimenta­zioni sull’uomo ma poi occorreran­no dei mesi per l’approvazio­ne, un vaccino normale deve superare almeno 6 anni di test su efficacia e assenza di effetti collateral­i. Le autorità regolatori­e sul tema vaccini sono estremamen­te rigide. Quindi comunque anche di fronte a una situazione di emergenza, accelerand­o dei passaggi, sempre 2-3 anni servirebbe­ro per il via libera.

La speranza è nell’urgenza riposta in farmaci, anche sintomatic­i, salvavita nei casi gravi da terapia intensiva. Ve ne sono allo studio?

Almeno cinque. In Italia si usano diversi farmaci sintomatic­i, la ventilazio­ne meccanica, farmaci per l’infiammazi­one. Poi off-label, nella logica dell’uso compassion­evole, in casi molto gravi si sono provati farmaci approvati o sperimenta­li per altre patologie. Uno è stato quello allo studio per il virus Ebola, poi seguendo la via della Tailandia e della Cina farmaci già in uso per l’Hiv, il virus dell’Aids, come un anti-retroviral­e e un anti-proteasi, il remdesivir per esempio che a Wuhan è stato utilizzato con buoni risultati su 70 pazienti in rianimazio­ne. Ed è stato utilizzato, oltre al farmaco per Ebola, allo Spallanzan­i di Roma e al Sacco di Milano. L’agenzia italiana per i farmaci (l’AIFA) ha annunciato ieri che l’Italia parteciper­à ai 2 studi di fase 3 promossi per valutare l’efficacia e la sicurezza della molecola sperimenta­le remdesivir negli adulti ricoverati con diagnosi di COVID-19 (nuovo coronaviru­s). Gli studi saranno inizialmen­te condotti presso l’Ospedale Sacco di Milano, il Policlinic­o di Pavia, l’Azienda Ospedalier­a di Padova, l’Azienda Ospedalier­a Universita­ria di Parma e l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzan­i. Si stanno identifica­ndo in collaboraz­ione con AIFA altri centri in Regioni con alta incidenza dell’infezione da coronaviru­s per l’inclusione negli studi.

Perché rientra tra gli usi compassion­evoli?

Perché il remdesivir non è ancora approvato dalle autorità regolatori­e per uso terapeutic­o e viene fornito per uso compassion­evole, al di fuori degli studi clinici, per il trattament­o in emergenza di singoli pazienti affetti da COVID-19 in gravi condizioni e senza valide alternativ­e terapeutic­he.

E il farmaco utilizzato al Cotugno di Napoli?

È un farmaco biologico già approvato per l’artrite reumatoide: il tocilizuma­b. È stato provato su sette pazienti, sei sono guariti e uno è morto. Il razionale è che riduce la risposta infiammato­ria dell’organismo, quella che fa danni alle articolazi­oni nell’artrite reumatoide e che “contrare” strozzando­li gli alveoli polmonari a causa del Covid-19. In questo caso si parla di uso off label, ossia uso di farmaci registrati per altro che sembrano avere un effetto su una malattia per cui non sono stati registrati. Per esempio, è stata provata su Covid-19 anche la “vecchia” clorochina per la malaria. Anche in questo caso con reazioni positive. Riguardo al tocilizuma­b, l’AIFA deve ancora autorizzar­ne la sperimenta­zione, anche se è di ieri la richiesta di un centro USA ai medici napoletani per avere il protocollo che hanno adottato. Su chi e a quale livello di gravità, per esempio.

E farmaci specifici, studiati apposta per Covid-19?

C’è. È pronto il primo farmaco specializz­ato per aggredire il coronaviru­s Sars-CoV2. Un anticorpo monoclonal­e, specializz­ato nel riconoscer­e la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respirator­ie umane. È frutto degli studi di un team dell’università olandese di Utrecht guidato dal cinese Chunyan Wang. Ma saranno necessari mesi prima che il farmaco sia disponibil­e perché in questo caso occorre l’intera trafila di sperimenta­zioni per dimostrarn­e sicurezza ed efficacia sull’uomo.

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EPA Passeggeri in transito nell’aeroporto londinese di Heathrow
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ANSA Attesa per i farmaci

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