« ADESSO SIAMO TUTTI GREGARI»
Il ct azzurro racconta le sue giornate senza bici al tempo della pandemia Cassani: «E’ il momento di fare squadra, di lottare per un obiettivo E anche di essere responsabili»
Dice da sempre di essere un gregario, ma in questo mondo di presunti capitani uno come Davide Cassani lo seguiresti in capo al mondo. Adesso che l’orizzonte ci si è ristretto, il ct del ciclismo ha sostituito la sua immagine abituale - lui in bici sulle colline romagnole, lui a piedi che si allena per la 100 km del Passatore, lui in Australia al Crocodile Trophy - con una versione soft, più adeguata ai tempi: un giorno scalda il pranzo, un altro passa l’aspirapolvere per tutte le stanze, invitandoci ancora una volta a fare come lui. «Chi fa ciclismo è abituato a tutto: la salita, la neve, la tempesta, il caldo, la fatica. Ma sono avversari che conosci, sai cosa devi fare. Questa volta dobbiamo lottare contro un avversario che non conosciamo, non sappiamo come reagisce, non possiamo prevedere i tempi».
Non ci sarà la Milano-Sanremo a portarci di colpo la primavera, non sarà il Giro a dirci che è arrivato il dolce inizio di maggio. «E’ sempre stato il mese più bello, il Giro mi ha tenuto compagnia quando ero piccolo. Poi da corridore, da commentatore. Il Giro c’è sempre stato, anche dopo la guerra siamo riusciti a farlo, al contrario dei francesi. Vorrà dire che quando finalmente si correrà, per noi sarà il segnale che tutto è ritornato. Sarà ancora più bello».
LIBERAZIONE. Come nel ‘46, il Giro sarà la liberazione, la fine dell’incubo. E come allora ci sarà da ricominciare. «Chi è della mia generazione non ha vissuto niente del genere. L’altro giorno mia madre, che è del ‘36, mi ha detto che le strade così vuote se le ricorda, al tempo della guerra. Quando sento i numeri del contagio e dei morti, ogni giorno, mi sembra un bollettino dal fronte. Ma spero che ci aspetti un mondo migliore. Questi giorni sono una lezione per tutti, nella tragedia abbiamo capito cosa ci mancava, c’erano troppe cose che avevamo messo da parte. Cose che davamo per scontate, adesso che non le possiamo più fare le abbiamo capite. Diciamo sempre che l’importante è la salute, ma non ci crediamo davvero».
REGOLE. Uno sport che porta gioia: così Davide Cassani definisce il suo ciclismo, la passione che lo ha rapito più di cinquant’anni fa e che ancora gli fa battere il cuore. «Il ciclismo è esattamente l’essenza di quello che non possiamo vivere adesso: andare verso il pubblico, darsi la mano, raggrupparsi su una strada o ai bordi di un sentiero».
Poesia che in questo momento può soltanto aiutare a far passare più in fretta i giorni dell’isolamento e della paura. «Il nostro compito ora è stare a casa. Il ciclismo non muore, si ferma».
Cassani è a casa, ovviamente. A
Faenza. «Mi piacerebbe uscire in bici. Ma piacerebbe anche ad altri diecimila. E se usciamo in diecimila, il rischio che qualcuno cada e vada in ospedale è troppo alto. Per cui a casa, ligi alle regole». Il ciclismo non muore, ma si è fermato. Niente Sanremo, niente Giro, niente Fiandre, e le altre classiche seguiranno a ruota. «Ho l’impressione che per due mesi almeno non se ne parli. Correre senza pubblico non è ciclismo. Il ciclismo deve andare fra la gente, e adesso non si può». Soltanto i professionisti possono uscire in strada, ma non è facile allenarsi senza un orizzonte davanti. «Nessuno sa quale sarà la prossima corsa ma i corridori devono potersi allenare. Dovrebbero andare in altura ma spostarsi adesso non è facile. Quanto alla pista, abbiamo solo Montichiari: la sfrutteremo ma contingentati, la useremo per quelli che devono prepararsi alle Olimpiadi».
Sempre che si corrano quando le avevamo immaginate. «Con l’interconnessione che c’è oggi, il rischio che l’Olimpiade salti esiste. Adesso però la prima preoccupazione è la salute di tutti. Ricordiamoci sempre che parliamo di sport, ci sono cose che vengono prima».
STRADE. La seconda preoccupazione è una rivoluzione. «C’è un calendario da riscrivere, dall’inizio alla fine. Immagino che si dovrà correre anche a novembre. Sono preoccupato anche per gli Under 23 del quarto anno: se perdono la stagione, non devono però perdere il treno della loro carriera, magari si può studiare una proroga, farli rimanere Under per un altro anno».
L’altra metà di Cassani è quella di presidente dell’Apt Emilia-Romagna. «Ho paura che per mesi gli stranieri non verranno da noi. Ma appena sarà possibile saranno gli italiani ad avere la voglia di muoversi nel loro Paese. Dobbiamo tenerci pronti quando la crisi si risolverà».
Il ciclismo può insegnare la strada. «E’ il momento di fare squadra, di lottare tutti per un obiettivo. Ognuno di noi deve rinunciare a qualcosa per il bene di tutti, siamo tutti gregari. Parliamo tanto di Italia e poi non paghiamo le tasse, non facciamo le fatture, passiamo col rosso. E’ ora di essere responsabili, di tirare fuori tutto quello che abbiamo nascosto. E’ come nel ciclismo: quando soffri, quando ti stacchi, anche il tuo avversario ti aiuta».
«C’è un calendario da riscrivere dall’inizio alla fine Salteranno i Giochi?»
«Sono anche preoccupato per gli u.23 del quarto anno Serve una proroga»