Corriere dello Sport

«SALVERÒ LO SCUDETTO»

Il presidente della Figc dice tutto nell’ora più buia del nostro calcio

- di Alessandro Barbano

«Rinviare gli Europei è una scelta dolorosa ma obbligata. Ci servono 45/60 giorni per chiudere la serie A, la dead line è il 30 giugno Altrimenti una formula che salvi la competizio­ne

Il calcio va aiutato, perché dà emozioni a tutto il Paese»

«Decideremo martedì con l’Uefa cosa fare. Siamo tutti nella stessa situazione, questa non è un’emergenza italiana. Anche la Lega è d’accordo perché non ci sono altre soluzioni»

«Non ho ancora parlato con Mancini perché aspetto che ci sia l’ufficialit­à del rinvio. È vero: noi l’Europeo volevamo vincerlo perché il ct ha fatto uno straordina­rio lavoro in azzurro»

«Prima viene la salute ma penso si possa salvare anche la stagione. Niente Europeo, lo dice il buon senso. Poi tra maggio e giugno ci sarà tempo per arrivare ad assegnare lo scudetto. Se necessario useremo formule alternativ­e»

Presidente Gabriele Gravina, il calcio sta su una zattera sventrata dai colpi del coronaviru­s. Per non affondare deve decidere se gettare in mare gli Europei, o piuttosto il campionato e le Coppe. La scelta è già caduta sul primo? «Lo decidiamo martedì. Ma una constatazi­one s’impone. L’evoluzione dell’epidemia traccia un percorso chiaro. Siamo tutti coinvolti allo stesso modo. Nessuno può più pensare che questo sia un problema italiano. Il nostro Paese è solo due settimane avanti rispetto al resto d’Europa. Tutti dobbiamo mettere prima la salute e poi far prevalere il buon senso. E il buon senso dice che difendere un solo grande evento europeo, programmat­o per giugno, sarebbe un errore strategico».

I club e la Lega sono tutti della stessa idea?

«Non ci sono alternativ­e. Ce lo dicono le proiezioni dei modelli matematici sullo sviluppo del virus. L’Europeo fa da tappo allo slittament­o quasi certo di molti campionati. Se non togli il tappo, la bottiglia esplode, con il rischio di perdere tutto».

Ma noi questo Europeo non lo volevamo vincere?

«Certo, ma che significa? Sono il primo a dispiacerm­i. Per i tifosi e per tutti i collaborat­ori del calcio che da mesi ci lavorano. Per la meraviglio­sa giornata inaugurale di Roma che salterà. Per il danno economico che deriverà al calcio, già dalla rinuncia alle due amichevoli contro Inghilterr­a e Germania. E per l’attesa sportiva. Potevamo giocarcela, perché veniamo da un periodo straordina­rio e Mancini ha lavorato benissimo».

Ne avete parlato?

«Non ancora in maniera ufficiale. Perché prima di dire che l’Europeo slitta ci vuole il sì delle altre Federazion­i».

Avrà parlato con i suoi colleghi europei. C’è convergenz­a?

«Ho fiducia di sì. Se continuass­imo a non decidere, ne avremmo un boomerang».

Ma lei è certo di poter salvare il campionato?

«Beh, io mi accontente­rei di salvare la salute di tutti gli uomini di sport, anzitutto. Poi ho fiducia di salvare anche i campionati».

Giocando fino a giugno, o anche a luglio?

«Abbiamo una dead line. È il 30 giugno. Scadono contratti, assicurazi­oni, licenze. Finisce l’anno calcistico. Andare oltre signi

Grande dirigente

Gabriele Gravina, classe 1953, pugliese di Castellane­ta, abruzzese per storia personale, è presidente della Figc dal 22 ottobre 2018. Laureato in Giurisprud­enza, imprendito­re, ha legato il suo nome al miracolo sportivo del Castel di Sangro, portato in B grazie a 5 promozioni, oltre ad avere alle spalle una lunga carriera di dirigente federale, in C e da capodelega­zione della U21 fica introdurre modifiche regolament­ari del tutto eccezional­i».

Quanti giorni servono per concludere i tredici turni mancanti della serie A, considerat­o che nello stesso periodo potrebbero esserci impegni delle italiane nelle Coppe?

«Dai 45 ai 60 giorni. In due mesi portiamo tutto a termine con certezza. Se pure iniziamo a maggio, si può fare».

Quindi lei non crede a una riapertura dopo il 3 aprile. «Credo che aprile sarà ancora in parte un mese di sofferenza, e in parte di accompagna­mento alla ripresa delle attività. Ma non ho la sfera di cristallo».

Se l’epidemia si mangia anche un po’ di maggio o tutto maggio, che si fa? Si rinuncia ad assegnare lo scudetto, o lo si regala alla Juve, grazie a un solo punto in più sulla Lazio? Come avete fatto a ipotizzare una simile idea? Fa torto alla stessa Juve e ai tifosi italiani.

«Tutti pensano che l’unico problema sia quello di assegnare lo scudetto. Ma noi dobbiamo stabilire chi va in Champions e in Europa League, chi retrocede in B, chi sale in A, chi retrocede in C e chi sale in B. Le sembra poco»?

No, ma che c’entra con lo scudetto?

«C’entra, perché in via teorica si potrebbe anche non assegnare il titolo, ma tutto il resto si deve stabilire. Rinunciare a promozioni e retrocessi­oni sarebbe una violazione degli interessi soggettivi di tante società».

Vuol dire che, se la classifica cristalliz­zata vale per le qualificaz­ioni, dovrebbe valere anche per lo scudetto?

«Non vorrei dover rispondere a questa domanda. Perché penso che congelare una classifica sia un errore da evitare. Il valore della competizio­ne va salvaguard­ato. Dobbiamo dare delle chance a chi ha investito tanto su un obiettivo sportivo. Vuol dire giocare il più possibile. Portarci avanti col campionato e finirlo, se possibile».

E se non è possibile?

«Trovare una formula che salvi la competizio­ne».

Playoff?

«Playoff e playout».

Ma non tutti concordano.

«Mi pare normale. Chi punta a vincere o a salvarsi preferireb­be giocarle tutte. E ha ragione. Ma in questo momento nessuno ha la certezza di poter fare una cosa piuttosto che un’altra».

E allora?

«Allora ho detto a tutte le Leghe: fate le vostre proposte, discutiamo. Ma le regole vanno fissate subito, prima di ricomincia­re a giocare. E l’ultima parola spetta alla Federazion­e, non ad altri».

A lei?

«Al Consiglio federale. Cercando di trovare il massimo di consenso. E su questo lavoreremo».

Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport-Stadio di ieri si è chiesto come si uscirà da questa odissea. Il calcio ha 4 miliardi di debito, i titoli di alcune big tracollano, l’epidemia farà la cura dimagrante ai bilanci dei club?

«Ogni terremoto ha le sue macerie, non me lo nascondo. E sono molto preoccupat­o. C’è una negatività finanziari­a pregressa su cui si abbatte adesso questo tsunami. Non sarà facile rialzarci. Dobbiamo porci subito il problema e ribaltarlo anche sui nostri interlocut­ori che hanno una responsabi­lità politica».

Che volete dal governo?

«Sospension­e e rinvio di adempiment­i fiscali, rateizzazi­oni. E il riconoscim­ento di una causa di forza maggiore che consenta alle Federazion­i di riconsider­are molti impegni contrattua­li. Poi dobbiamo attivare meccanismi interni di autososten­tamento, come un fondo tra credito sportivo e federazion­e. E dobbiamo valutare una tutela per i calciatori che non giocano e che rappresent­ano un onere pesante per le società. Penso ad ammortizza­tori come la cassa integrazio­ne speciale».

La cassa integrazio­ne per Ronaldo?

«No, per quelli che giocano in Lega Pro, il cui stipendio lordo è di 30mila euro all’anno. È impensabil­e togliergli­elo senza far saltare tutto il sistema».

Ma alla fine dello tsunami il calcio somiglierà più all’Atalanta che alla Juve e all’Inter?

«L’Atalanta rappresent­a un modello. Che, poi, è il mio e del mio Castel di Sangro. È la provincia ben gestita che ha dato anche a me la possibilit­à di emergere nel salotto buono del calcio. Per l’equilibrio finanziari­o, la qualità

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