«Fermate i calciatori basta allenamenti»
Anche l’Aic si ribella: «Le società vivono su un altro pianeta». Cutrone tra i contagiati
Roba da non crederci: il calcio continua a bisticciare pure quando è fermo e i presidenti se ne stanno chiusi in casa per la quarantena. Che ci volete fare, sono i prodigi della tecnologia. Gli uomini che governano il pallone non fanno pause. Continuano a dire la propria in video conferenza, via telefono, tramite Skype e a colpi di comunicati stampa. Nel giornale di ieri vi raccontavamo delle tensioni registrate in Lega Serie A tra chi vorrebbe portare avanti gli allenamenti e chi rifiuta questa visione. Ieri i medici delle squadre hanno chiesto la sospensione di tutte le attività, in qualche caso sconfessando gli stessi presidenti che pagano i loro stipendi.
I MEDICI. Anche perché il Coronavirus ha dimostrato di fregarsene del conto in banca, contagiando anche i calciatori professionisti. «In considerazione della grave evoluzione dell’infezione nel mondo, vista la crescente diffusione dei contagi anche all’interno del calcio e del personale sanitario a esso dedicato e del progressivo aggravamento della situazione che sta coinvolgendo il sistema sanitario nazionale, i medici della Serie A esprimono forte preoccupazione circa la tutela della salute dei propri tesserati qualora venissero ripresi a breve gli allenamenti e promosse altre attività di aggregazione» hanno scritto i medici sportivi in una nota. La presa di posizione è netta: se non si chiede ai calciatori di giocare le partite, allo stesso modo non si può pretendere che partecipino alle sedute nei centri sportivi. Il gioco del calcio impedisce, per sua stessa natura, il rispetto delle regole messe nero su bianco dal governo: «L’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo e a patto che si rispetti la distanza interpersonale di un metro» si legge sul sito dell’esecutivo, insieme al divieto di organizzare manifestazioni sportive ed eventi sia al chiuso che all’aperto.
AIC IN RIVOLTA. L’Associazione Italiana Calciatori per prima, una
settimana fa, fece sua la battaglia per l’interruzione dei campionati quasi implorando il ministro dello sport, Vincenzo Spadafora, a intervenire con decisione. Damiano Tommasi e tutta l’associazione si sono definiti «indignati» dal comportamento delle società, colpevoli di continuare con le convocazioni. La posizione dell’Aic è durissima: «Nonostante il decreto, ci rattrista e indigna registrare ancora oggi un comportamento scriteriato e fuori dal contesto nazionale e internazionale di alcune società, che si ostinano a convocare gli atleti per allenamenti in piccoli gruppi o, peggio ancora, per il controllo quotidiano della temperatura». La categoria si ribella: «Se i club convocano oggi in Italia calciatori per il solo fatto di controllare la presenza di febbre o meno, costringendoli a muoversi da casa, incontrare persone, frequentare ambienti per ottenere un dato facilmente comunicabile per telefono, è un atto vergognosamente irresponsabile nei confronti delle tante persone costrette a muoversi e a lavorare per consentirci un minimo di servizi necessari. È, inoltre, offensivo nei confronti di quanti sono in prima linea, medici, infermieri e personale sanitario, che ci implorano di rimanere a casa». L'Aic non ammette scuse: se le sedute continuano con l'obiettivo di allenare a un campionato che non ripartirà a breve, «significa che le società stanno vivendo su un altro pianeta» (il dpcm consentirebbe la preparazione a competizioni nazionali e/o internazionali, ma il calcio è fermo!); se la convocazione è volta a ottenere il rifiuto dai calciatori per procedere così con la decurtazione degli emolumenti «significa che stiamo raschiando il fondo del barile della dignità». Lo scontro è totale.
Il sindacato atleti è durissimo: teme sia un pretesto per tagliare gli stipendi