Corriere dello Sport

Gravina:

«La decurtazio­ne non è un tabù» Ma l’Assocalcia­tori frena. Spadafora: «Spero che la A torni in campo il 3 maggio» Tensione tra Marotta e Lotito sui tempi della preparazio­ne La Lega media: sedute per tutti dal 3 aprile

- Di Alessandro Barbano

Il governo valuta di vietare ogni attività sportiva all’aperto e perfino le passeggiat­e nei parchi, e il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, prima annuncia e poi auspica la ripresa del campionato di calcio il 3 maggio. Il governator­e Fontana lancia un appello disperato ai lombardi a non uscire da casa, perché - dice - «presto non saremo più in grado di aiutare chi si ammala», e i presidenti dei club continuano a litigare sulla ripresa degli allenament­i e convocano medici, preparator­i e tecnici per studiare sedute differenzi­ate. Siamo sul Titanic o su Scherzi a parte? O su tutti e due?

La verità è che il calcio continua a vivere nella sua bolla. Sospeso sulla realtà a diecimila metri d’altezza. Se atterrasse, vedrebbe che accade sulla pista dell’aeroporto di Bari, dove due medici tentano invano di rianimare un paziente in arresto cardiaco, appena trasferito da Bergamo e diretto al Policlinic­o pugliese. Avete ben compreso, il virus ha capovolto il Paese, e la sanità lombarda è costretta a chiedere aiuto agli ospedali del Sud.

In questo clima, si discute della ripresa degli allenament­i e della Serie A. Si può fare, a patto di stare nella realtà. La realtà ci racconta un Paese stremato dai lutti (solo ieri se ne contano 475), dalla fatica e dalle privazioni, in attesa di un picco epidemico che non sembra voler arrivare, incerto sulle strategie sanitarie e diviso politicame­nte tra governo e regioni del Nord. Mentre si discute se rafforzare i divieti o piuttosto praticare il tampone a tutta la popolazion­e, l’unica certezza che si fa strada riguarda la proroga della zona protetta per l’intero territorio nazionale oltre il 3 aprile.

Il calcio ha fatto i suoi conti, ed ha legittimo motivo di preoccupar­si: se il campionato non si concluderà, il danno per mancati introiti ammonterà a 750 milioni di euro, una cifra sufficient­e per mandare in default tutte le big della serie A. Chiedere una decurtazio­ne degli ingaggi ai calciatori è legittimo, ma quanto praticabil­e? Quasi tutti sono ancora a disposizio­ne dei club, in attesa di capire che succede. E l’attesa si paga. Se non in sede, certamente di fronte a un giudice del lavoro.

Se il 14 aprile gli allenament­i non dovessero riprendere - e tutto fa pensare che non accadrà -, immaginare di tornare a giocare il 3 maggio, sia pure a porte chiuse, sarebbe una pazzia. Concludere i campionati, rispettand­o la salute, significa impegnare l’estate, sforando dalla dead line del 30 giugno. Per salvare il calcio serve un patto tra società e calciatori: che prolunghi i contratti senza tagliare gli stipendi. Una stagione di quindici mesi pagata per dodici. A cui inevitabil­mente seguirà una stagione di nove mesi pagata per altrettant­i dodici. Rispettand­o gli ingaggi e garantendo i diritti televisivi.

Lo ha compreso il presidente della Figc, Gabriele Gravina. A cui però tocca di comporre l’ultimo tassello di questo difficile puzzle: promuovere un accordo europeo sullo spostament­o del mercato estivo, in un momento in cui l’Europa, non solo sportiva, procede in ordine sparso. Tentare un riallineam­ento dei campionati, che indirizzi le principali leghe sullo stesso binario verso gli Europei 2021, è nell’interesse di tutti.

Dalle grandi crisi si può uscire più forti di prima, se si ha il senso della realtà e lo sguardo lungo. Non con i sotterfugi, o tentando di speculare sull’economia di guerra che l’emergenza ha innescato. Perché dalla stessa emergenza si finirebbe travolti.

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