La legge permette i tagli però il Flamengo dice no
«Chi pensa di avvantaggiassi facendo allenare i suoi tesserati, non so cosa abbia in mente. Lo dico senza voler fare polemiche perché questo non è il momento delle polemiche. Allenarsi ora, due mesi prima della ripresa del campionato, però non ha senso. Ed è pure pericoloso».
Lotito e altri presidenti non la pensano così.
«In Spagna ci sono decine di giocatori positivi, mentre in Italia magari non tutti hanno fatto il test e ci sono più asintomatici di quelli che si pensa. Lotito forse avrà buoni informatori e saprà quando davvero si ricomincerà il campionato».
La Serie A finirà?
«Spero di sì, ma la curva dei contagi adesso non dà tregua. Pensiamo a stare in casa. Tutti, nessuno escluso. Il rinvio dell’Europeo aiuterà e magari ci permetterà di concludere i tornei nazionali».
Con lo stop all'attività calcistica per via del Coronavirus, anche in Brasile ha preso piede il dibattuto se sia il caso, vista l'inattività forzata, di ridurre gli stipendi ai calciatori visto che non si sa quando si potrà tornare in campo. Oltretutto la legislazione brasiliana lo prevede, in base all'articolo 503 del suo codice dei lavoratori, secondo cui un datore di lavoro (categoria in cui sono compresi anche i club calcistici) può ridurre i salari dei suoi dipendenti «fino al 25%, in proporzione allo stipendio di ognuno, per cause di forza maggiore o eventi debitamente comprovati».
LA PRESA DI POSIZIONE. Il dibattito è quindi già acceso, ma non vi prende parte il Flamengo, campione nazionale e del Sudamerica in carica. Infatti la società carioca ha annunciato di non volersi avvalere di questa facoltà: «Non taglieremo gli stipendi né ai giocatori né agli altri lavoratori del club», ha detto un portavoce.