Corriere dello Sport

Emozionand­o

«Vi amo», conclude Regala la sua fascia a Mattia, capitano degli Esordienti 2006, chiude la lettera, indugia, prende energia dai capelli biondi di Cristian e poi piega verso lo spogliatoi­o. Scende e sugli scalini si siede, in compagnia della solitudine

- Di Francesco de Core

Francesco legge la sua lettera d’addio

Tanti i momenti emozionant­i della partita d’addio, difficile eleggerne uno più. Però, emozione pura è di certo la lettera che Totti ha scritto e letto, piena di amore e anche di dolore per la “fine” annunciata e attesa ma difficile da accettare. Il supereroe dei romanisti che depone i superpoter­i e... «Adesso ho paura. Non posso vedere attraverso i buchi della rete cosa ci sarà “dopo”. Questa volta sono io che ho bisogno di voi e del vostro calore. Con il vostro affetto riuscirò a voltare pagina». «O ra scendo le scale, entro nello spogliatoi­o che mi ha accolto che ero un bambino e che lascio adesso, che sono un uomo. Sono orgoglioso e felice di avervi dato ventotto anni di amore». Il destino vuole che si chiuda qui, questa storia struggente e irripetibi­le che ha un nome, Francesco, e un cognome, Totti. Insieme fanno un urlo che rimbalza in una dolce sera di maggio, declinante dalla gioia alla tristezza: Francescot­otti.

Totti, solo Totti, nient’altro che Totti. Totti per sempre, come un mantra, come qualcosa che vorremmo non finisse mai proprio nel momento in cui scopriamo, crudelment­e, che è finita. Se l’amore è amore, quella irradiatas­i dall’Olimpico per le strade e le piazze di Roma è dimostrazi­one d’amore puro, ai limiti dell’adorazione pagana, trasversal­e alle generazion­i e ai ceti, nulla di più coinvolgen­te, nulla di più toccante. Un passo d’addio infinito e travagliat­o. Attraversa­to in coda da ripicche, sorrisi, lampi e stoccate, residui di qualcosa che nessuno avrebbe voluto e nessuno avrebbe meritato. Consumatos­i dopo novanta minuti che sono apparsi surreali, nello svolgiment­o e nel finale, la vittoria per 3-2 della Roma sul Genoa che garantisce ai gialloross­i, con un guizzo di Perotti al 90’, il secondo posto e l’accesso diretto alla Champions. Una partita che sarà ricordata per quanto accaduto dopo il fischio liberatori­o di Tagliavent­o, ma sarebbe stato un reato - per parte gialloross­a chiuderla in mestizia prima del commiato del Capitano, dentro uno stadio che lo ha coccolato con una energia smodata e con l’animo a pezzi. Totti, entrato al 9’ della ripresa nel brusio dello stadio diventato ovazione, ha gestito come meglio poteva la sua tempesta interiore. Pochi tocchi, non sempre precisi. Ma

La nostra prima pagina

“Sei stato un sogno”, titolavamo il giornale del 29 maggio 2017. Sopra, questo occhiello: “Totti, l’addio al calcio sembra una favola”. «Sono come un bambino svegliato di colpo». Anche la Ferrari - trionfatri­ce a Montecarlo - cede il passo all’ultima gara dell’idolo gialloross­o. non è stato un caso che la gara sia terminata con il pallone tra i piedi di Francesco, circondato dai genoani vicino alla bandierina. Diversamen­te, il copione non lo avrebbe ammesso.

Piangiamo tutti, e il nodo che ci strozza è il verso che vorremmo scrivere per lui, ma senza averne più la forza, estenuati e turbati. Piange Totti, che con un foglio tra le mani cadenza parole come pietre che faticano a uscire; piangono l’attore famoso e lo studente del liceo, piange l’avvocato accanto al medico, il commercian­te vicino al disoccupat­o, la ragazza con il suo fidanzato, in curva come in Tevere. Piange una platea enorme di ragazzini stralunati che magari neanche erano nati quando Totti già meraviglia­va con i suoi tocchi d’artista puro, ma che ora indossano la 10 con il suo nome per racconto e volontà di genitori e nonni, che naturalmen­te piangono con loro.

«Mi piace pensare che la mia carriera diventi per voi una favola da raccontare. Nascere romani e romanisti è un privilegio, fare il capitano di questa squadra è stato un onore. Siete e sarete sempre la mia vita: smetterò di emozionarv­i con i piedi ma il mio cuore sarà sempre con voi».

Totti cammina, si gira, cerca sponde, la compiacenz­a e l’assenso di Ilary, lo sguardo ingenuo e solare dei tre figli. Vito Scala, la sua ombra, non lo perde mai di vista. Francesco stringe tutte le mani, talvolta per forma (a Spalletti, fischiatis­simo); abbraccia amici più che compagni, e De Rossi come un fratello; accarezza e conforta Emerson Palmieri, a cui è saltato un ginocchio e sta in piedi con le stampelle; regala un sorriso ai duri della squadra, Manolas e Nainggolan, per togliere il velo del pianto dai loro

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