Corriere dello Sport

Brescia, il ruggito lieve della Leonessa

L’iniziativa della Fondazione Comunità Bresciana e del Giornale di Brescia Troppe morti fredde, la reazione di gente concreta. Attraverso la campagna AiutiAMO Brescia sono stati raccolti oltre dodici milioni per gli ospedali locali

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dalla Bergamasca, metà struttura è riservata a Covid-19 . E la gente continua a morire. A inizio settimana, in due giorni, i decessi in questo ospedale di provincia sono stati 24. Uno ogni due ore. Cinquecent­o, tra medici e infermieri, sono stati contagiati e chi è rimasto in servizio è ad un passo dalla crisi, perché reggere a lungo a questi ritmi è impensabil­e. «Si sa quando iniziamo a lavorare ma non quando finisce il turno» dicono dalla terapia intensiva del Civile. I posti per gli intubati sono finiti ed è ormai inevitabil­e scegliere chi curare. «Nessuno viene abbandonat­o - giurano i medici - ma per alcuni pazienti la rianimazio­ne non serve più a niente». Sembrano racconti dal fronte di guerra, ma sono invece storie di una quotidiani­tà che ha cambiato per sempre il volto di questa città. Soprattutt­o dal punto di vista psicologic­o. Ci sono figli che hanno perso entrambi i genitori in pochi giorni, mogli che hanno visto uscire di casa il marito su una barella e non l’hanno più rivisto. Perché chi muore, lo fa in solitudine. Senza un parente accanto durante gli ultimi attimi e senza nessuno dopo con i familiari lontani perché costretti alla quarantena. «Una gestione del lutto molto fredda. E’ un dramma nel dramma» dicono i sacerdoti che nemmeno possono celebrare i funerali.

Il Vescovo della città Pierantoni­o Tremolada ha invitato i preti ad aprire le chiese per ospitare le bare e il tempio crematorio accetta solo salme di persone residenti nel capoluogo. Chi muore oggi potrà essere cremato solo ad aprile. Eppure a Brescia c’è ancora gente che esce di casa per fare jogging o per andare a un festa con tanto di karaoke di gruppo all’interno di un bar chiuso davanti, ma aperto sul retro. Pensare che si tratta di un locale, nel quartiere Badia in città, che dista cento metri in linea d’aria dal bar del bocciodrom­o gestito dal 64enne Sergio, morto dopo due settimane in terapia intensiva, così come era accaduto prima a due suoi clienti che di anni ne avevano 74 e 80. Giocatori di carte, amanti della briscola. Abitudine che il Coronaviru­s rischia di aver spazzato via per sempre dai tavolini dei bar. A Montichiar­i, paesone di 25mila abitanti, il sindaco, prima ancora che il governo chiudesse i locali, aveva vietato il briscolone tra amici. Il comune più colpito è Orzinuovi, casa dell’ex cittì della Nazionale Cesare Prandelli. «Ho perso degli amici» raccontava qualche giorno fa l’allenatore bresciano. Come Danfio Bianchessi, ex custode del centro sportivo del Parma a Collecchio, deceduto a 80 anni dopo un ricovero lampo. Su 14mila abitanti, 150 sono le persone contagiate e 29 quelle stroncate dal virus che all’inizio sembrava «poco più di un’influenza». “Chi lo dice non sa di cosa parla. Senti bruciare dentro. Non riesci a mangiare e a bere, di notte sudi e di giorno hai il fuoco nei polmoni. Sono stata all’inferno» è la drammatica testimonia­nza di Fernanda, una signora di 69 anni di San Paolo, profonda Bassa bresciana, tornata a casa dopo dieci giorni in ospedale. «Ho sconfitto il virus ma tante persone non ce la fanno e a chi continua ad uscire di casa senza ragione dico: siete dei pazzi». In questa emergenza che ha una data precisa di inizio, ma di cui non si vede la fine, l’intera provincia ha dimostrato di avere un cuore enorme. Attraverso la campagna AiutiAMO Brescia, voluta da Fondazione Comunità Bresciana e Giornale di Brescia, sono stati infatti raccolti oltre dodici milioni di euro per sostenere, nell’immediato, gli ospedali del territorio. La Leonessa d’Italia è in ginocchio, il ruggito è sempre più lieve. Ma Brescia reagisce.

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