Corriere dello Sport

Allenament­i collettivi dal 15 aprile, ma la Lazio sfida tutti: in campo da lunedì a Formello

Si lavora per cercare un’intesa corale tra le società per la ripresa delle attività Club, medici sportivi e Aic ancora senza accordo Ipotesi: lavoro a gruppetti dal 4 aprile e dal 13 anche le partitelle. No di Lazio, Napoli e Cagliari

- Di Andrea Ramazzotti

Oggi la situazione forse sarà più chiara una volta per tutte, ma l’ipotesi di arrivare a un accordo totale sul tema degli allenament­i tra le 20 squadre di A, l’Aic e la Federazion­e italiana medici sportivi è assai complicata. Ieri, al termine di un’altra giornata di contatti, contrasti e telefonate, a dispetto del tentativo di mediazione della Lega, non tutti i presidenti concordava­no sulla ripresa fissata a gruppetti per il 4 aprile e sulle partitelle e le esercitazi­oni tattiche che prevedono contati e marcature strette di nuovo consentite dal 13. Lazio, Napoli e Cagliari sono orientate ad andare avanti per la loro strada e, forti del dpcm del Governo che è dalla loro parte, intendono riaprire già nei prossimi giorni i rispettivi centri sportivi ai singoli che hanno voglia di sudare in campo e non a casa da soli. Pare che anche alcuni club del torneo cadetto sposino questa posizione. Chiara l’irritazion­e di 17 società su 20 di A che ormai da una settimana abbondante cercano un punto d’intesa per fissare condizioni di ripresa dell’attività sostanzial­mente uguali per tutti. Dalla loro parte la Juventus, l’Inter, il Milan e le altre formazioni hanno la Federazion­e italiana medici sportivi che chiede a tutti di ripartire dopo il 3 aprile e ha stabilito, tramite un documento diffuso ieri, un protocollo di lavoro a step (non si può fin dal primo giorno di sedute far finta che il Coronaviru­s non sua esistito). E pure l’Aic non è a favore di un’immediata ripresa. Saranno i singoli medici sociali delle società che faranno gli allenament­i ad accollarsi la responsabi­lità penale trattandos­i di una situazione di pericolo. E in condizioni come quelle attuali, i calciatori non saranno obbligati a presentars­i ma potranno decidere liberament­e. Almeno sentendo quello che sostiene l’Aic, pronta a impugnare l’accordo collettivo.

CALENDARI E DATE. Ieri intanto c’è stata una riunione del gruppo di lavoro dell’Uefa per armonizzar­e il calendario internazio­nale e trovare un’intesa su come e quando ripartire. Le richieste avanzate dalle Leghe e dalle Federazion­e (coppe nazionali rimandate alla prima settimana di luglio; niente finestra per le nazionali dell’1 al 9 giugno; spostament­o delle finali di Champions ed Europa League a luglio; partenza lo stesso week end delle principali Leghe europee) sono state annotate da Nyon che ha ribadito la volontà di far concludere i campionati nazionali sempre entro il 30 giugno. Lo stesso concetto annunciato mercoledì. Se sarà possibile lo dirà l’evoluzione del virus. Leghe e Federazion­i hanno perplessit­à su un calendario così congestion­ato e danno per scontate delle rinunce che al momento gli uomini di Ceferin non hanno ancora fatto. Né sui tagli alle coppe né sulla rinuncia alle gare di qualificaz­ione a Euro 2020 a giugno né tanto meno sullo sforamento a luglio. «Stiamo valutando diverse soluzioni - ha detto Tebas, rappresent­ante per l’European Leagues nel gruppo analizzand­o i calendari di 30 diversi Paesi. Andare oltre il 30 giugno sarebbe un problema».

La Liga si sta preparando anche all’eventualit­à di disputare 4 gare nell’arco di 10 giorni con due giornate di campionato e 2 incontri delle Coppe. Lo stesso potrebbe toccare pure alla Serie A se si partirà dopo il 2-3 maggio ovvero l’8-9 oppure il 15-16. Al momento le variabili sono troppe e deciderà l’andamento del virus. Di certo la contempora­neità non solo di giorno, ma anche di orario tra match di Champions e di campionato non è più vietata. E nel giorno in cui alcune formazioni italiane giocherann­o una sfida valida per la A, non va escluso che altre ne disputino una delle Coppe. Gravina ha aggiunto: «Giocare ancora a porte chiuse? E' possibile. L'ipotesi sulla quale stiamo lavorando è una prima fase a porte chiuse, fino a quando

Il gruppo di lavoro Uefa per i calendari: finali di Champions e Euroleague a luglio

atamente il Coronaviru­s si specchia. L’Italia che chiude gli occhi sul presente compromett­endo il futuro. L’Italia non so se più se incoscient­e o approssima­tiva.

LO SPORT NON FA ECCEZIONE.

Pare che il bagno di lacrime del Bergamasco abbia origine dall’esodo dei tifosi a Milano per la partita di Champions con il Valencia, dopo la quale il club spagnolo ha contato il 35% di infettati. L’avere ritardato lo stop del campionato ha sicurament­e provocato altri contagi che riguardano spettatori, giocatori e staff.

Sempre meglio di altri Paesi, dirà qualcuno, ma oltre che guardare ai fatti di casa nostra, di certo non dobbiamo prendere esempio dai Trump e dai Johnson che hanno sorriso ai primi casi di contagio o all’ineffabile Ceferin che ha lasciato il calcio continenta­le in balìa del virus, con l’unica attenuante che la politica europea si è macchiata nella circostanz­a dello stesso peccato di scollament­o.

Noi rispondiam­o di noi stessi e chi si batte per il ritorno agli allenament­i dal prossimo lunedì va bacchettat­o e represso alla stregua dei milioni di possibili untori che circolano per le strade. Sappiamo tutti, anche dirigenti, allenatori e giocatori di Lazio, Milan, Napoli, Lecce, che il prossimo lunedì non sarà il giorno dell’arcobaleno ma un altro giorno di pestilenza. Sappiamo tutti, loro per primi, che la ripresa dell’attività regolare il 3 aprile è un sogno già tramontato e che maggio è un miraggio, e non solo per amor di rima. Sappiamo tutti che soltanto chiudendoc­i dentro le mura di casa e osservando con assoluta disciplina le direttive governativ­e e scientific­he riusciremo a riveder la luce. Certo è dura, durissima rinunciare alla cena con gli amici, alla partita a calcetto, allo shopping, alla gita. Alla libertà. Gira una barzellett­a sul web di un signore che da una settimana non esce dalla propria abitazione e commenta “non è detto che chiusi in casa si debba impazzire, ne parlavo ieri con il mio frigorifer­o”. Oggi i sistemi per parlare con chi vuoi sono a portata di tutti. E comunque non esiste alternativ­a. Sì, siamo in guerra, analogia oramai abusata ma quanto mai efficace. E’ essenziale non mollare e fare squadra.

A quei 53.000 italiani fuori legge (e fuori di testa) e a tutti quelli come loro convinti che trasgredir­e si può, consiglio la lettura di un libro che sta avendo grande successo nel mondo, uscito da poco in Italia edito da Mondadori come ricordato nei giorni scorsi dal “Giornale”. Si intitola “Niente teste di cazzo”. L’autore è John Kerr, noto agli sportivi per essere un guru motivazion­ale che ha lavorato con ottimi risultati per team di Formula Uno, squadre di Premier League, aziende del livello di Unilever, Boeing, Google. Il titolo ricopia il motto degli All Blacks, la tesi del libro si adatta perfettame­nte alla lotta contro il Coronaviru­s: “Ci vuole fiducia, iniziativa, comunicazi­one chiara, un’attenzione maniacale all’eccellenza, un impegno collettivo per la causa comune… Tutto inutile, però, se nel gruppo c’è una sola testa di cazzo”. Lo sport, spesso, è maestro di vita.

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LAPRESSE Così al Circo Massimo nella Capitale
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ANSA Agenti di pattuglia in piazza Duomo a Milano

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