Allenamenti collettivi dal 15 aprile, ma la Lazio sfida tutti: in campo da lunedì a Formello
Si lavora per cercare un’intesa corale tra le società per la ripresa delle attività Club, medici sportivi e Aic ancora senza accordo Ipotesi: lavoro a gruppetti dal 4 aprile e dal 13 anche le partitelle. No di Lazio, Napoli e Cagliari
Oggi la situazione forse sarà più chiara una volta per tutte, ma l’ipotesi di arrivare a un accordo totale sul tema degli allenamenti tra le 20 squadre di A, l’Aic e la Federazione italiana medici sportivi è assai complicata. Ieri, al termine di un’altra giornata di contatti, contrasti e telefonate, a dispetto del tentativo di mediazione della Lega, non tutti i presidenti concordavano sulla ripresa fissata a gruppetti per il 4 aprile e sulle partitelle e le esercitazioni tattiche che prevedono contati e marcature strette di nuovo consentite dal 13. Lazio, Napoli e Cagliari sono orientate ad andare avanti per la loro strada e, forti del dpcm del Governo che è dalla loro parte, intendono riaprire già nei prossimi giorni i rispettivi centri sportivi ai singoli che hanno voglia di sudare in campo e non a casa da soli. Pare che anche alcuni club del torneo cadetto sposino questa posizione. Chiara l’irritazione di 17 società su 20 di A che ormai da una settimana abbondante cercano un punto d’intesa per fissare condizioni di ripresa dell’attività sostanzialmente uguali per tutti. Dalla loro parte la Juventus, l’Inter, il Milan e le altre formazioni hanno la Federazione italiana medici sportivi che chiede a tutti di ripartire dopo il 3 aprile e ha stabilito, tramite un documento diffuso ieri, un protocollo di lavoro a step (non si può fin dal primo giorno di sedute far finta che il Coronavirus non sua esistito). E pure l’Aic non è a favore di un’immediata ripresa. Saranno i singoli medici sociali delle società che faranno gli allenamenti ad accollarsi la responsabilità penale trattandosi di una situazione di pericolo. E in condizioni come quelle attuali, i calciatori non saranno obbligati a presentarsi ma potranno decidere liberamente. Almeno sentendo quello che sostiene l’Aic, pronta a impugnare l’accordo collettivo.
CALENDARI E DATE. Ieri intanto c’è stata una riunione del gruppo di lavoro dell’Uefa per armonizzare il calendario internazionale e trovare un’intesa su come e quando ripartire. Le richieste avanzate dalle Leghe e dalle Federazione (coppe nazionali rimandate alla prima settimana di luglio; niente finestra per le nazionali dell’1 al 9 giugno; spostamento delle finali di Champions ed Europa League a luglio; partenza lo stesso week end delle principali Leghe europee) sono state annotate da Nyon che ha ribadito la volontà di far concludere i campionati nazionali sempre entro il 30 giugno. Lo stesso concetto annunciato mercoledì. Se sarà possibile lo dirà l’evoluzione del virus. Leghe e Federazioni hanno perplessità su un calendario così congestionato e danno per scontate delle rinunce che al momento gli uomini di Ceferin non hanno ancora fatto. Né sui tagli alle coppe né sulla rinuncia alle gare di qualificazione a Euro 2020 a giugno né tanto meno sullo sforamento a luglio. «Stiamo valutando diverse soluzioni - ha detto Tebas, rappresentante per l’European Leagues nel gruppo analizzando i calendari di 30 diversi Paesi. Andare oltre il 30 giugno sarebbe un problema».
La Liga si sta preparando anche all’eventualità di disputare 4 gare nell’arco di 10 giorni con due giornate di campionato e 2 incontri delle Coppe. Lo stesso potrebbe toccare pure alla Serie A se si partirà dopo il 2-3 maggio ovvero l’8-9 oppure il 15-16. Al momento le variabili sono troppe e deciderà l’andamento del virus. Di certo la contemporaneità non solo di giorno, ma anche di orario tra match di Champions e di campionato non è più vietata. E nel giorno in cui alcune formazioni italiane giocheranno una sfida valida per la A, non va escluso che altre ne disputino una delle Coppe. Gravina ha aggiunto: «Giocare ancora a porte chiuse? E' possibile. L'ipotesi sulla quale stiamo lavorando è una prima fase a porte chiuse, fino a quando
Il gruppo di lavoro Uefa per i calendari: finali di Champions e Euroleague a luglio
atamente il Coronavirus si specchia. L’Italia che chiude gli occhi sul presente compromettendo il futuro. L’Italia non so se più se incosciente o approssimativa.
LO SPORT NON FA ECCEZIONE.
Pare che il bagno di lacrime del Bergamasco abbia origine dall’esodo dei tifosi a Milano per la partita di Champions con il Valencia, dopo la quale il club spagnolo ha contato il 35% di infettati. L’avere ritardato lo stop del campionato ha sicuramente provocato altri contagi che riguardano spettatori, giocatori e staff.
Sempre meglio di altri Paesi, dirà qualcuno, ma oltre che guardare ai fatti di casa nostra, di certo non dobbiamo prendere esempio dai Trump e dai Johnson che hanno sorriso ai primi casi di contagio o all’ineffabile Ceferin che ha lasciato il calcio continentale in balìa del virus, con l’unica attenuante che la politica europea si è macchiata nella circostanza dello stesso peccato di scollamento.
Noi rispondiamo di noi stessi e chi si batte per il ritorno agli allenamenti dal prossimo lunedì va bacchettato e represso alla stregua dei milioni di possibili untori che circolano per le strade. Sappiamo tutti, anche dirigenti, allenatori e giocatori di Lazio, Milan, Napoli, Lecce, che il prossimo lunedì non sarà il giorno dell’arcobaleno ma un altro giorno di pestilenza. Sappiamo tutti, loro per primi, che la ripresa dell’attività regolare il 3 aprile è un sogno già tramontato e che maggio è un miraggio, e non solo per amor di rima. Sappiamo tutti che soltanto chiudendoci dentro le mura di casa e osservando con assoluta disciplina le direttive governative e scientifiche riusciremo a riveder la luce. Certo è dura, durissima rinunciare alla cena con gli amici, alla partita a calcetto, allo shopping, alla gita. Alla libertà. Gira una barzelletta sul web di un signore che da una settimana non esce dalla propria abitazione e commenta “non è detto che chiusi in casa si debba impazzire, ne parlavo ieri con il mio frigorifero”. Oggi i sistemi per parlare con chi vuoi sono a portata di tutti. E comunque non esiste alternativa. Sì, siamo in guerra, analogia oramai abusata ma quanto mai efficace. E’ essenziale non mollare e fare squadra.
A quei 53.000 italiani fuori legge (e fuori di testa) e a tutti quelli come loro convinti che trasgredire si può, consiglio la lettura di un libro che sta avendo grande successo nel mondo, uscito da poco in Italia edito da Mondadori come ricordato nei giorni scorsi dal “Giornale”. Si intitola “Niente teste di cazzo”. L’autore è John Kerr, noto agli sportivi per essere un guru motivazionale che ha lavorato con ottimi risultati per team di Formula Uno, squadre di Premier League, aziende del livello di Unilever, Boeing, Google. Il titolo ricopia il motto degli All Blacks, la tesi del libro si adatta perfettamente alla lotta contro il Coronavirus: “Ci vuole fiducia, iniziativa, comunicazione chiara, un’attenzione maniacale all’eccellenza, un impegno collettivo per la causa comune… Tutto inutile, però, se nel gruppo c’è una sola testa di cazzo”. Lo sport, spesso, è maestro di vita.