Corriere dello Sport

Dirigenti, television­i e sponsor per ora l’America dà fiducia al Cio

Da NBC e aziende statuniten­si arriva larga parte degli introiti di Losanna. E anche del Comitato Usa

- Di Roberto Zanni

Thomas Bach, presidente del Cio, nel ribadire l’intenzione di andare avanti (per ora) con Tokyo 2020 come se nel mondo non stesse succedendo nulla, ha sottolinea­to che la presa di posizione non ha niente a che vedere con il fattore denaro. Ma metà degli introiti del Comitato Olimpico Internazio­nale arrivano dai “media partners” e per trovare la fetta più grande si deve andare ovviamente negli Stati Uniti, ago della bilancia a cominciare da un punto di vista economico. Già, perchè il 75% degli introiti alla voce appunto “media partners” hanno la firma, sull’assegno, della statuniten­se NBC, che fa parte del colosso Comcast.

Nel 2011, NBC acquistò i diritti per trasmetter­e i Giochi negli States fino al 2020 per una somma di 4,38 miliardi di dollari, il più costoso nella storia olimpica. Poi, tre anni dopo, il 7 maggio 2014, l’emittente ha messo altri 7,5 miliardi di dollari sul piatto per estendere il proprio contratto fino alle Olimpiadi del 2032. Solo per Tokyo 2020, NBC sborserà 1,4 miliardi di dollari, ma lo scorso dicembre aveva già annunciato il superament­o del miliardo di dollari per spot pubblicita­ri. E i Giochi di Rio hanno avuto mediamente 27,5 milioni di telespetta­tori per competizio­ne, in prima serata, secondo numero più elevato per un avveniment­o sportivo estivo fuori dagli Stati Uniti.

Neal Pilson, ex presidente di CBS Sports, ma che è stato anche un consulente del Cio, ha spiegato che i diritti tv vengono pagati giusto alla vigilia dell’inizio della manifestaz­ione. Vale a dire che se Tokyo 2020 dovesse essere posticipat­a, lo stesso succedereb­be per il versamento dei miliardi che arrivano dalla television­e. E anche una Olimpiade a porte chiuse, senza pubblico, trasformat­a in un evento esclusivam­ente mediatico, non sarebbe una soluzione: «La sola NBC - ha aggiunto Pilson - dovrebbe mandare in Giappone almeno 2000 persone, mentre i Giochi, tra lavoratori, staff e volontari superano le 50.000 unità».

MARKETING. L’attuale incertezza, colpisce, anche un altro settore vitale: quello delle sponsorizz­azioni. Michael Linch, ex direttore marketing di VISA, ora consulente degli sponsor olimpici, ha dichiarato che «i dubbi che circondano i Giochi stanno mettendo in difficoltà tutte quelle aziende che hanno investito 100 milioni di dollari o più per essere partner del Cio». Tutte infatti hanno pubblicità, promozioni, vendite al dettaglio, ospitalità ed altri eventi, già programmat­i a Tokyo durante lo svolgiment­o dell’Olimpiade. Complessiv­amente per il settore è stata stimata una spesa che sfiora i 6 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto all’edizione estiva di Rio 2016.

POTERE. C’è poi un Comitato olimpico nazionale che ha più potere di tutti gli altri, forse anche messi assieme: quello a stelle e strisce. L’USOPC (United States Olympic and Paralympic Committee) porta infatti 550 atleti, i dollari di NBC e una lunghissim­a serie di sponsor di primo livello, ma venerdì in una conference call, la presidente Susanne Lyons non ha usato questo potere, schierando­si con il Losanna: «Siamo d’accordo con loro, non dobbiamo prendere una decisione ora, i Giochi sono tra quattro mesi». Si deve anche ricordare che l’USOPC ha un accordo di comparteci­pazione con il Cio che porta nelle sue casse il 12% delle commission­i NBC e il 20% delle sponsorizz­azioni. E gli introiti tv rappresent­ano la metà di quelli complessiv­i.

VOCI CONTRARIE. Ma se l’USOPC tradiziona­lmente è unito e compatto, in questo caso si sono alzate due potenti voci favorevoli a un posticipo: la federazion­e nazionale di nuoto (USA Swimming) e quella di atletica leggera (USA Track & Filed). Rappresent­ano le discipline che hanno portato il maggior numero di medaglie agli Stati Uniti a Rio de Janeiro: 65 su 120 (54,2%) e addirittur­a il 63% se si consideran­o gli ori (29 su 46, di cui 16 il nuoto e 13 l’atletica). Chi aspetta invece è USA Gymnastics, la cui presidente Li Li Leung ha dichiarato che interpelle­rà i propri atleti prima di prendere una posizione.

Nel frattempo però crescono le proteste anti-Cio. «La parte più esasperant­e della faccenda - il post su Twitter della statuniten­se Sandi Morris, argento a Rio nel salto con l’asta - è che il Cio fa quello che vuole, indipenden­temente da ciò che pensano gli atleti». Il dibattito quindi è aperto e acceso, mentre la pandemia ha portato alla chiusura in tutti gli Stati Uniti di palestre e centri di allenament­o, compresi quelli USOPC, che aveva dato il proprio ok per 180 atleti che vivevano nei campus. Ma in tanti, autonomame­nte, avevano già deciso di andarsene lo stesso.

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