Diritti tv, l’ora di una nuova legge
- Non rientra nelle priorità, ma la modifica della Legge Melandri è compresa nelle richieste che la serie A ha rivolto al Governo. Si parte da un dato di fatto: i club della massima categoria “vivono” sui proventi dei diritti tv. La quota della torta complessiva che ciascuna società incassa copre gran parte del fatturato. Ragion per cui, ad ogni triennio, si lavora per cercare di alzare il valore del nostro campionato. La realtà nel nostro mercato, però, racconta che c’è un unico vero competitor. O meglio c’è un solo broadcaster, ovviamente Sky, in grado di investire certe cifre. Gli altri, vedi Dazn, devono accontentarsi di una fetta minore. E’ vero che, in vista del 2021-24, c’è la variabile ott, vale a dire chi trasmette contenuti attraverso internet, ma ancora non è chiaro che cosa possa garantire quel tipo di settore. Per essere chiari, Amazon, ad esempio, che la serie A punta a coinvolgere, che piani ha per l’Italia? Al momento, evidentemente, è ancora presto per saperlo.
LIMITI DA TOGLIERE. Resta, in ogni caso, la necessità di individuare modo per dare valore al prodotto serie A. E allora come? L’idea di base è quella di rimuovere dalla Legge Melandria la cosiddetta “no single buyer rule”. Ad oggi, infatti, non è consentito che un unico broadcaster acquisisca tutti i pacchetti per trasmettere l’intero campionato. Ecco perché per questo triennio ci sono Sky e Dazn. Ebbene, i club ritengono che puntando in maniera ancora più netta sulle esclusive per prodotto e dando la possibilità ad un unico broadcaster di accaparrarsi tutti i pacchetti, le possibilità di ricavo aumenterebbero. Ancora di più se a quello stesso broadcaster venisse concesso di sub-licenziare i diritti che ha acquistato. Rivendendone una parte, in pratica, potrebbe rientrare almeno per una quota dall’investimento effettuato. Un’altra ipotesi è quella di cancellare la limitazione della vendita dei diritti ad un solo triennio, ampliandola magari a 6. Così i club si garantirebbero maggiori certezze per il futuro, avendo la possibilità di programmare per un arco temporale più ampio.
SOLIDARIETÀ. Ma c’è anche un altro aspetto che, storicamente, la serie A fatica ad accettare: togliersi una fetta dei propri ricavi per girarlo alle serie minori, che poi se lo suddividono. Per intendersi, quel tipo di contributo è fondamentale per il sostentamento delle altre categorie, che, anzi, vorrebbero puntualmente ottenere una quota più ampia. Ovvio che si contrappongano interessi diversi e il rischio è un braccio di ferro tra chi vuole tenersi tutto quello che produce e chi, invece, teme di non riuscire più a sopravvivere. Difficile, però, immaginare che questa sorta di ciambella di salvataggio non venga più lanciata. Anche perché, alla luce delle perdite a cui andrà incontro, l’intero calcio italiano ha bisogno di ripartire, tenendo in piedi tutte le categorie.
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