Corriere dello Sport

«È UN VIRUS CHE FA PAURA MA ALLA FINE LO BATTERÒ»

«In base ai sintomi che avvertivo ho capito subito che si trattava del Covid-19: presto farò un altro tampone, però ormai il peggio è alle spalle. Bisogna proteggere tutte le categorie più fragili»

- Di Alessandro Rialti

Un nemico silenzioso, invisibile, sconosciut­o, che entra in punta di piedi nelle nostre vite e subdolo divide gli amori, le famiglie. Che colpisce tutti, particolar­mente inclemente con i più fragili. German Pezzella l’ha dovuto conoscere, affrontare, ma da capitano lo ha sconfitto. Da solo, senza nemmeno l’affetto delle persone del suo cuore, senza nemmeno i suoi compagni di squadra, senza il suo allenatore. Come amico il telefono, le parole che venivano da lontano, che gli ripetevano che non era solo. Di questo suo lungo viaggio dentro il «Coronaviru­s», il giocatore argentino ci ha fatto un racconto. Il viaggio dentro la malattia. Dalla preoccupaz­ione fino alla conclusion­e del tunnel. A dimostrare che anche i peggiori nemici, anche se non li conosci, puoi sconfigger­li. C’è comunque il sole dopo una notte nella quale pare non ci siano neppure le stelle. Con la sua consueta semplicità e qualità Pezzella ha affrontato questa intervista. Dove c’è tutto, il silenzio e l’attesa, ma c’è anche la luce. La notte non è mai infinita. E per uno come lui adesso c’è solo la voglia di rimettere gli scarpini, di abbracciar­e i compagni, di affrontare gli avversari, anche i più duri. Perché il nemico silenzioso è terribile ma anche affrontabi­le. Si può battere, ma come nel calcio tutti insieme.

German Pezzella. come si è accorto di essere stato contagiato? «Ho avuto qualche sintomo, per fortuna nulla di particolar­mente serio. Poi sapendo che in squadra c’era già stato un positivo, che era Vlahovic, ho creduto che potesse trattarsi del Coronaviru­s».

Ci aveva mai pensato al “e se tocca a me”?

«All’inizio no, sembrava potesse essere una cosa abbastanza ristretta. Poi quando ho iniziato a vedere che la portata si stava ampliando e dilagava a macchia d’olio, ho pensato che sarebbe potuto toccare a chiunque. Noi non siamo immuni, siamo delle persone normali come tutti: è un virus che può colpire chiunque, proprio per questo tutti dobbiamo rispettare le direttive delle Istituzion­i, anche per difendere chi è

più fragile»

E una volta toccato a lei, oltre che al dottor Pengue, che cosa ha pensato?

«Sapendo che è un virus molto contagioso, ho temuto fino dall’inizio che se l’avesse avuto uno solo di noi avrebbe potuto infettare altre persone. Purtroppo è stato così ma per fortuna, anche se qualcuno ha avuto bisogno del ricovero in ospedale, nessuno di noi è in condizioni critiche. Mi auguro che tutti possano ristabilir­si al più presto completame­nte».

Come ha vissuto la malattia e con quanta paura?

«L’ho vissuta abbastanza serenament­e: all’inizio non nascondo che un po’ di paura l’ho avuta perché si tratta di una malattia nuova, nessuno la conosce e per questo il timore aumenta ma poi, per fortuna, i miei sintomi non sono stati molto forti e quindi ho cercato di viverla abbastanza tranquilla­mente».

Chi l’ha aiutata di più?

«Mi sono stati vicini tutti, la Società, lo Staff, i miei compagni. Ho sentito tutti ed ognuno mi ha donato una parola di conforto e mi ha aiutato. Non mi sono mai sentito veramente solo nonostante fisicament­e lo fossi».

Cosa ha previsto il protocollo di auto-isolamento?

«Da quando si è saputa la positività di Vlahovic, ero già in quarantena quindi non potevo uscire di casa e vedere nessuno. Una volta scoperta anche la mia positività non è cambiato molto, ho continuato a rimanere chiuso in caso, dovevo controllar­e i miei sintomi, venivo monitorato a distanza. Se per caso i sintomi fossero peggiorati probabilme­nte avrei dovuto essere ricoverato ma, per fortuna, è andato tutto bene».

L’assenza di sua moglie è stata un peso maggiore da sopportare?

«Certo, essere da soli non aiuta. Ognuno di noi vorrebbe avere sempre l’affetto dei propri cari ed averli lontani non è facile. Sia i miei genitori che mia moglie sono lontani e, oltre la solitudine, in questi momenti pesa anche la paura di quello che potrebbe succedere a loro».

Come è stata la guarigione?

«I sintomi via via sono iniziati

«Se la forma fosse stata più aggressiva mi avrebbero dovuto ricoverare Non esistono immuni: ecco perché bisogna affrontare questa situazione con grande senso di responsabi­lità»

«Ringrazio il club, i medici e i compagni Attenzione, affetto e conforto: anche se sono in isolamento ho potuto contare sulla loro vicinanza Ho già ricomincia­to a fare qualche esercizio atletico»

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